mercoledì, Febbraio 19, 2025
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España Circo Este – Dormo Poco E Sogno Molto, il video di Paolo Santamaria e l’intervista

La forza delle idee nell’area circoscritta delle forme brevi. Da sempre è una questione di confini e cornici rappresentative. Occorre espanderle e sfondarle, letteralmente, per aprire 30 secondi o tre minuti ad altre possibilità. Non sono molti quelli che ricordano “That’s what’s going on“, lo spot realizzato per Wrangler da Kevin Godley & Lol Creme nel 1983; immagine virtuale e possibile che insieme al lavoro di Zbigniew Rybczyński, sfruttava l’immaginario e gli spazi destinati al consumo per sperimentare le qualità performative delle nascenti tecnologie digitali, ricombinando nuove narrazioni fatte di stereotipi a pezzi, campionamenti e ripetizioni.

Il video di Paolo Santamaria, prodotto con la sua The Factory per gli España Circo Este, a distanza di alcuni decenni dal lavoro di Godley, Creme e Rybczyński, sembra aprire nuovamente quelle finestre, per consentirci un passaggio senza soluzione di continuità tra realtà e schermo, nuove tecnologie e consistenza tattile.

Oltre al “come”, il “cosa” ci interroga lungo i tre minuti e mezzo del video, sul nostro ruolo rispetto al filtro mediale che quotidianamente circoscrive le tragedie più piccole e quelle globali, spingendoci in una pericolosa comfort zone scopica dove lo spettacolo scorre e non ci macchia di sangue.

Dormo Poco e sogno molto“, che già dal titolo suggerisce uno straordinario ossimoro esoterico di sovversione dell’ordine di realtà, ha partecipato a più di 30 festival in giro per il mondo, tra cui tre con la qualifica dell’Academy Award, una selezione al prestigioso Berlin Music Video Awards 2021 e un riconoscimento a Cortinametraggio.

Paolo Santamaria, fondatore dell’abruzzese The Factory, regista di spot, documentari e moltissimi videoclip, buona parte dei quali realizzati per l’etichetta discografica Garrincha, torna in fondo a realizzare un’opera di viaggio, riuscendo a trovare una sintesi sorprendente tra l’immagine e i mezzi del presente. Lo fa con un’ansia di libertà incontenibile.
Le immagini e le animazioni di Gianpaolo Calabrese, di fatto non le contiene, ma le spinge fuori cornice, verso chi guarda.

Paolo Santamaria. Tra illustrazione, tecnologia e vita. L’intervista

Come è nata la collaborazione con Gianpaolo Calabrese e come avete impostato il lavoro sul video?

Con Gianpaolo ci conosciamo da anni, siamo nati entrambi ad Avezzano, in Abruzzo, e assieme abbiamo portato avanti la passione per la ricerca estetica attraverso la creatività.
Io ho fondato la The Factory, e lui ha subito sposato la causa, entrando a far parte del team. Siamo dunque coinquilini allo stato puro. Scrivevo così su Ig rispetto al videoclip di Merendine blu, ma vale ovviamente anche in questo caso: Nel mio mestiere il percorso non è mai subordinato al risultato, ne è parte integrante, come un iceberg di cui osserviamo soltanto la cuspide. Per me questo video nasce dalle prime chiacchierate in autobus, entrambi assonnati, nel percorso verso Scuola di Cinema per me ed Accademia di Belle Arti per lui. Questa la vittoria più grande, valore del tempo speso e delle tante energie profuse, imparziali esempi di libertà.

Oltre all’idea del passaggio da un dispositivo all’altro, davvero molto bella ed efficace , sorprende la realizzazione tecnica. Siete riusciti a mantenere forte spontaneità del gesto, come se fosse un gioco di bambini, e allo stesso tempo a costruire questa formidabile sincronia narrativa.

La mia infanzia è stata costellata da disegno e da pittura, difatti a scuola scarabocchiavo in continuazione. Frequentai anche un corso specifico con mia sorella Chiara, pomeriggi spesi a realizzare quanto ragionato, un profondo lavoro di concentrazione. In seconda media vinsi addirittura un concorso su tematiche sociali, con un disegno che realizzai in una mezza mattinata, stanzone enorme pieno di altri ragazzi, che valse il primo premio. Insomma, ero abbastanza in fissa. Crescendo però, il vuoto. Con l’approdo alla tecnologia ho perso totalmente il rapporto creativo e artistico con la mia manualità illustrativa. Le idee son rimaste, ma la capacità è stata dirottata altrove (siamo esseri finiti, ahimè).
Conoscere Gianpaolo è stata una bella fortuna, avere altre due braccia pensanti dedicate, designate all’illustrazione, è molto stimolante. Io posso dedicarmi al mondo visuale nel suo complesso, lui può scavare a fondo andando a sviscerare di volta in volta la tecnica con cui decidiamo di interfacciarci. Volevo che si evincesse anche questo, volevo raccontare una storia come la mia mente infantile era solita immaginarla, come un viaggio su due dimensioni, in continua scoperta. E volevo farlo con un avatar che fosse amabile, buono, come ogni bambino vede il suo compagno di viaggi ideale. Il nostro poi è stato condito con elementi del buon Marcello, cantante degli Espana.

Mi interessava capire gli intarsi tra scrittura e tecnica…

Ipotizzare su carta un simile iter non è banale. Ho immaginato la storia, ovviamente nata dalle parole della canzone, stabilito il suo intreccio e creato una scaletta. Nel nostro caso bisognava poi capire come incastrare, quanto ipotizzato, all’interno dei dispositivi. Volendoci complicare la vita abbiamo anche deciso di far muovere i medesimi, così da poter interagire con loro. Ricordo benissimo che prendemmo tanti fogli bianchi e iniziammo a stabilire una mappa, un percorso che il nostro avatar avrebbe compiuto sugli assi X e Y, nel tempo e nello spazio. Proprio come ero solito fare da bambino, creando caroselli infiniti. È stata la nostra guida per predisporre scenograficamente i dispositivi e per realizzare le animazioni da inserirvi. Filmammo il videoclip ad inizio Marzo, nei giorni di poco antecedenti al primo lockdown, momenti in cui risultava difficile persino concentrarsi per fare la spesa, figuriamoci per costruire un simile viaggio onirico. Nel nostro studio, la The Factory improvvisamente impregnata di alcool ed amuchina, ci ritrovammo io, Marco Anselmi (il nostro tuttofare) e Gianpaolo in compagnia di una 50ina tra iPhone ed iPad ed una scena da allestire (le mani presenti nel video sono le loro). Fu un primissimo esperimento di set con mascherine ffp2, complesso e surreale.

L’estetica del video mi ricorda alcune espansioni tattili del mondo visuale che spesso sono affidate alle motion graphics ma anche la capacità di sfondare gli schermi che era tipica della pubblicità splendida degli anni novanta, quella di Godley and Creme tanto per intenderci. A cosa vi siete maggiormente ispirati per raggiungere questo grado di libertà creativa?

A testa e cuore.
Nel tempo avevo già visto video similari, con dispositivi e animazioni a sync. Però non ritengo ci sia stata una vera e propria ispirazione, come del resto non sono solito fare mai. Per poter raccontare attraverso le mie immagini devo dapprima incamerare per poi scomporre e attraverso una nuova sintesi riformulare a modo mio. Ritengo che la fedeltà al sentimento sia sempre il miglior ingrediente, la giusta base con cui poter svolazzare in piena fantasia. Accadde una comune fascinazione simile quando realizzai anni fa L’arte ti somiglia, celebre campagna del Mibact. Si trattava di una trovata a mio avviso già vista, ma probabilmente il focus e l’attenzione utilizzati in essa hanno saputo creare il transfert emotivo necessario, al punto da trasformarla nella “più efficace campagna ministeriale degli ultimi anni“, ma non sono parole mie…

Le finestre dei dispositivi ricordano quelle del mondo isolato e allo stesso tempo Always connected dei social media. C’era l’intenzione di sollecitare quel mondo ad aprirsi verso la sofferenza quotidiana dei popoli, sfondando e rompendo gli schermi dell’isolamento?

L’attuale dilemma social, per citare una recente produzione Netflix, rappresenta una delle grandi sfide dell’uomo odierno. Riuscire a vivere in tale meccanismo senza perdersi, senza esser risucchiati dagli algoritmi e dalla dipendenza che suscitano, credo sia complesso e molto difficile. La rivoluzione della mia generazione è frutto di quelle tante scoperte fatte da imprenditori brillanti, e per la stessa natura delle loro creazioni sospinte dal business, ne diventa ogni giorno più schiava, perdendo sempre di più il contatto col mondo fatto di terra e sangue. Sono tali meccanismi ad imporre le tematiche da seguire e gli argomenti di cui parlare. Prestare attenzione a ciò che non ingaggia il flusso richiede parecchio sforzo. Mantenere memoria richiede sforzo. “Vivere” aprendosi al mondo d’oggi richiede sforzo.

Il video mi sembra sia una risposta formidabile, sia tematicamente che a livello creativo, alla stasi che stiamo vivendo. Secondo voi si può leggere come un tentativo di sollecitare le coscienze anche e soprattutto quando i corpi sono costretti a stare a casa? Allargare gli orizzonti insomma…

È stata dura ma essenziale. Proprio l’universo hi-tech, in parte rappresentato nel video, ci ha permesso di proseguire il nostro confronto, di osservarci in video call mattutine condividendo spunti creativi e rallegrandoci in un momento tanto triste. Un esperimento bizzarro, in cui tre persone hanno lavorato in parallelo mettendo a sistema idee e suggestioni. Andrea Di Berardino da Zurigo, a curare il tracking 3D, Gianpaolo a disegnare ogni santa animazione ed io ad orchestrare, rompendo ed assemblando con aggiunte dell’ultimo minuto. In fin dei conti credo che la clausura forzata sia stata l’ingrediente fondamentale per dar sfogo alla nostra immaginazione, il videoclip un’ancora di salvezza, un viaggio dell’anima in cui il piacere della scoperta e l’amore hanno saputo alternarsi in una pulsione creativa costante.

Farete altre cose insieme? Noi speriamo di sì

Ovviamente si. Gianpaolo è un componente attivo della The Factory, un perno fondamentale senza cui probabilmente oggi sarei altrove, magari all’estero. Ma la famiglia dei #factoryni è molto più ampia e giorno dopo giorno ci poniamo nuove sfide cercando di metterci alla prova, stimolando costantemente le nostre menti e la nostra pazienza. Operare in un ambito in cui il senso di precarietà diventa leitmotiv nudo e crudo, richiede costante meditazione e continuo allenamento. Farlo assieme a belle persone, persone a cui si vuole bene, salva.

Spotify vs. Tidal: migra tutte le tue playlist da l’una all’altra piattaforma

Spotify e Tidal, due piattaforme a confronto per la musica in streaming

Spotify e Tidal, due tra le principali piattaforme per la musica in streaming, hanno differenze specifiche che riguardano l’esperienza lato utente e le priorità riservate agli artisti.
Con un catalogo superiore in termini numerici, Tidal “fallisce” solo per quanto riguarda alcuni titoli di nicchia legati alla storia della musica alternativa, ma garantisce una qualità sonora nettamente superiore, a fronte di un costo in abbonamento più elevato.

Tidal, qualità superiore e costi più elevati

L’unica possibilità per spendere meno Tidal la offre agli studenti, con la sottoscrizione di un account Premium a 4,99 Euro, che consente di risparmiarne 5,00 rispetto al prezzo standard, esattamente come per Spotify. Tidal Hi-Fi costa invece 19,99 Euro al mese.

Tidal e Spotify, algoritmi e playlist automatiche

Diversi sono anche gli algoritmi che organizzano in modo automatico playlist e ascolti, sulla base di preferenze e generi di riferimento; Spotify è molto più precisa e allarga il raggio di possibilità anche in termini editoriali.

Spotify o Tidal, podcast o videoclip?

All’ampia dotazione Podcast di Spotify, formato e contenitore che sta vivendo una seconda, floridissima vita, Tidal contrappone una libreria di videoclip che può rappresentare una vera e propria scommessa sul futuro del formato, l’unico ancora in grado di creare movimento promozionale in rete. I video presenti su Tidal, al momento di scrivere sono 250,000, alcuni in esclusiva assoluta e con un range qualitativo che va dai 360p, per buona parte dei titoli anni ottanta e novanta, fino ad un massimo di 1080p per quanto riguarda le novità. Oltre il Full HD non si trovano quindi contenuti, ma l’esperienza è per certi versi più soddisfacente e stabile di quella su Youtube, a parità di formato ovviamente.

Tidal: dalla parte degli artisti

Lato artisti, Tidal destina più contributi per stream rispetto a Spotify e offre una connessione più diretta tra musicista e fanbase. Il formato Tidal X è un esempio specifico in tal senso e offre live show esclusivi, veri e propri meet and greets, biglietti per concerti, contenuti esclusivi ed altri benefit. Tidal Rising invece è una vera e propria piattaforma per i nuovi talenti, dove un team editoriale sceglie tra gli emergenti quelli con maggiore potenziale, per offrire un supporto promozionale gratuito, sia attraverso la piattaforma stessa, sia per quanto riguarda l’esternalizzazione di alcuni servizi, dai photo shoot al supporto per i live.

Tidal Vs. Spotify: qualità audio

La qualità audio a confronto è ancora una battaglia aperta, perché se Tidal offre fino al lossless di tipo FLAC (24 bit/96kHz) per quanto riguarda i più costosi abbonamenti Hi-Fi, il rivale ha annunciato durante il febbraio scorso l’introduzione di Spotify Hi-Fi, di cui non si sa ancora molto e che dovrebbe competere anche con Amazon Music HD.

Da Spotify a Tidal: migra tutte le tue Playlist

Con una campagna promozionale miratissima, Tidal si appoggia a servizi di terze parti per suggerire la migrazione dei contenuti da una piattaforma concorrente, verso la propria.
Uno dei problemi legati alla possibile fidelizzazione di nuovi utenti che utilizzano Spotify da anni è quella di conservare le numerose playlist create con amore e dedizione.
L’utente medio se ne fotte se ha regalato ad uno svuotacantine la collezione di vinili del nonno e gettato tra la plastica e l’indifferenziata i CD del babbo, ma è gelosissimo delle proprie playlist aggregate durante mesi di cazzeggio a creare il sostituto digitale di un mixtape.

Spingendo verso l’utilizzo di converter e webapp di gestione come Soundizz e Tune My Music, Tidal invita a duplicare velocemente le playlist conservate su Spotify, Deezer, Amazon Music, Last Fm e altri servizi, verso la propria piattaforma.

Un supporto notevole, a patto funzioni davvero, vediamo in dettaglio quali sono i pro e i contro; abbiamo testato per voi una delle due webapp, quella che ci è sembrata più intuitiva: Soundizz

Migra tutte le Playlist di Spotify su Tidal con Soundiiz

Soundiiz è una webapp che in fase di registrazione consente un log in veloce attraverso il riconoscimento degli account Google oppure Facebook, presentandosi come un software di gestione multipiattaforma che consente di sincronizzare i contenuti tra numerosi servizi.

Ci interessa in questa sede esaminare le funzioni relative all’importazione di una playlist o di un gruppo di playlist da Spotify verso Tidal.

Per trasferire tutte le selezioni da Spotify a Tidal in un colpo solo, tocca pagare un abbonamento di 4,50 euro al mese; un gioco che può valer la pena solo a patto di sfruttare il servizio per una sola volta.

Gratuitamente è possibile spostare tutto ma importando una playlist alla volta, attraverso il link di condivisione e a patto che la nostra selezione non superi i 200 brani per ogni playlist. Questo pone un problema per tutte le selezioni create da Spotify in base alle nostre preferenze, oppure per le playlist create con il nostro like ai brani preferiti, incontrati di volta in volta, dove l’ammontare dei titoli potrebbe superare anche le 500 tracce.

Abbiamo attivato la funzione standard di importazione playlist presente nel piano gratuito di Soundiiz ed ecco cosa è successo.

Soundiiz, importa playlist, tutorial passo passo

Selezionando il pulsante “Importa playlist” in alto a destra rispetto all’interfaccia full screen, abbiamo scelto la voce “Da indirizzo web” (3) che ci consente di migrare la playlist da Spotify a Tidal inserendo il link di condivisione della stessa playlist

Per chi non lo ricordasse, il link di una playlist Spotify, si ottiene selezionando il titolo della stessa con il pulsante destro del mouse e scegliendo da menu contestuale la voce Condividi/Copia link alla playlist.

Ottenuto il link, possiamo tornare all’interfaccia Soundiiz, scegliere la voce Da indirizzo web e contestualmente, inserire l’indirizzo ottenuto dalla playlist Spotify all’interno del form preposto. A questo punto non resta che selezionare il pulsante Invia URL.

Nei passaggi successivi ci verrà chiesto di Confermare la playlist, Salvare la Configurazione ed infine scegliere una piattaforma di destinazione; in questo caso Tidal.

Dopo aver scelto Tidal come servizio di Destinazione, occorre attendere alcuni secondi mentre l’importazione viene ultimata. Nel caso in cui qualcosa non vada a buon fine, sarà lo stesso Soundiiz ad avvertirci. Questo può accadere ogni volta che un brano di Spotify non venga trovato nella libreria di Tidal, come nel nostro caso

Soundiiz ci ha segnalato due errori. Se scegliamo il pulsante che li indica, vedremo quali sono i titoli che Tidal non è riuscito a trovare nella sua libreria di oltre 60 milioni di brani musicali.

Le due tracce incriminate sono “Screen Kiss” di Thomas Dolby, e “Great Museum” dei Tortoise, entrambi due “classici” della musica di qualità, rispettivamente, del genere electro-pop e post-rock.

Nella nostra esperienza con Soundiiz che ci ha consentito di far confronti diretti tra le librerie di Spotify e di Tidal abbiamo potuto verificare che in relazione al catalogo della musica alternativa dalla fine degli anni settanta fino ai giorni nostri, Spotify soddisfa maggiormente l’ascoltatore con qualche esigenza in più. Nomi come “Camper Van Beethoven”, “Sun City Girls”, ma anche alcuni titoli particolari legati alla cultura Northern Soul oppure Psichedelica degli anni sessanta e settanta, se non totalmente assenti, sono presenti con pochissimi brani e discografie ridotte al minimo.
Non si tratta di un gap enorme, perché su 100 playlist importate, Tidal ha fallito con una media di due titoli per ogni playlist, segno di un avvicinamento progressivo tra i due cataloghi.

Tidal o Spotify, quale scegliere?

Differenze alla mano, difficile eseguire un test adatto a tutti i palati. Tidal offre per questo un profilo prova di 30 giorni, completamente funzionante. A differenza di Spotify non può essere utilizzato anche gratuitamente e con funzioni ridotte, ma solo nel periodo di prova concesso, scaduto il quale occorre pagare per utilizzare qualsiasi funzione. Un mese dovrebbe essere sufficiente per testare le possibilità della piattaforma, anche lato mobile e per mettere alla prova un servizio di importazione playlist come Soundiiz.

Se sarete soddisfatti dei risultati, potrete abbandonare Spotify, in nome di un’esperienza audio di qualità superiore.

Art School Girlfriend, In The Middle. Il video di Tom Dream, tra l’isolamento e la vita

Vero e proprio “afterlife” quello realizzato da Tom Dream per la producer britannica Polly Mackey. Filmato in 16mm dal direttore della fotografia David Wright, immerge l’artista e un gruppo di performer nello spazio virtuale delle luci laser, così da determinare una versione intimista e mentale delle tecniche di videomapping utilizzate in un contesto club. L’unico riflesso del dancefloor rimane nei corpi dei ballerini e in un momento di danza che proviene da uno schermo cinematografico. La sala è infatti l’unico ambiente dove sembra possibile far sopravvivere l’esperienza comunitaria, ma è uno spazio dove lo sguardo e la memoria vengono separati dalla vita, irrimediabilmente osservata attraverso uno specchio, una cornice di luce, un’arena virtuale.


St. Vincent – “Pay Your Way In Pain”. Disco diva nel video di Bill Benz

Dopo “The Nowhere Inn”, la docu-fiction costruita intorno all’identità di Annie Clark, Bill Benz torna a collaborare con l’ex Polyphonic Spree per il video di “Pay Your Way in pain”, confezionato in linea con le scelte citazioniste di tutta la campagna promozionale costruita intorno a Daddy’s Home, incluso il video di 1 (833)-77-DADDY, che omaggiava il De Palma di “Vestito per uccidere”. Qui si ammicca a Bowie per allestire un teatrino anti-erotico di formidabile freddezza, preciso anche in termini ottici, tanto che il buon Benz si è affidato ad una dotazione tecnica d’epoca, ripristinando telecamere, obiettivi, filtri e metodologie inerenti la produzione di promo video a cavallo tra la prima e la seconda metà degli anni settanta. Cui prodest?

Kidnap “Silence”. Isolamento e solitudine nel video di Iain Simpson, dalla parte dei folli

Forse ne abbiamo già abbastanza, ma la forza di “Silence” risiede nella sua aderenza al corpo per sondare i limiti della psiche. Non sono immagini senza speranza quelle dirette da Iain Simpson, perché nello stesso modo in cui ha filmato il Malawi per Saronde, immergendosi nella fisicità gestuale del suono, si avvicina alla disperazione di quest’uomo, perso per le strade di una Glasgow notturna e senza alcun segno di vita. Senza frapporre uno sguardo giudicante, cerca di allinearsi, per quanto possibile, al livello dell’esperienza.
Non è un’immagine nuova come non è nuovo ciò che stiamo vivendo, ma è precisa, nella definizione della follia come punto di confine estremo tra la costrizione e la perdita dell’io cosciente.
Filmato in un bianconero 16mm rilegge la perdita di coordinate percettive che anima molti video legati alla cultura club. Estasi oppure oblio? Follia o libertà?

Loperfido – I Still got time, il videoclip di Antonio Stea in anteprima esclusiva

Band alternative della scena gioiese, i Loperfido sono nati nell’estate 2014 a Gioia del Colle dopo l’esperienza come The Carving. Artefici di uno psych rock oscuro e originale, sono costituiti da Donato Bellacicco, Nicola Donvito, Sefano Montuoso e Donato De Marco. Finalisti nel 2016 di Arezzo Wave Love Festival e della quarta edizione di EsserEPerfetto a Bari, vincono nel 2017 il Giovinazzo Rock Festival.
“I Still got time” è il loro primo singolo pubblicato a distanza di cinque anni dal primo EP e conferma il loro approccio contemporaneo e originale al sound psichedelico.

Loperfido su Bandcamp

Antonio Stea, autore di video molto belli, tra cui “Nope Face” per i Violent Scenes, ha lavorato alla clip per i Loperfido proprio durante il mese in cui gli è stata diagnosticata la positività al Covid 19. Per questo motivo ha dovuto lavorare seguendo i protocolli di isolamento: “Durante tutto questo periodo, ho dedicato il mio tempo a elaborare questo videoclip in maniera differente rispetto ai miei lavori precedenti. Ho centrato la mia attività
sull’uso di software come After Effects. Il primo scambio con la band è stata una telefonata dove, buttando giù delle idee, abbiamo deciso, di utilizzare una sorta di minimalismo con l’utilizzo del bianco e nero

Stea fa reagire l’approccio tecnico con la situazione che vive, ambientando il videoclip in uno spazio onirico nero “dove fosse possibile isolare alcune persone dalla loro quotidianità e trasportarle in un vuoto fisico ed emotivo. Nella prima fase della realizzazione ho estrapolato una parte dei soggetti da alcuni video del mio archivio digitale, per gli altri, mi sono servito di una piattaforma gratuita nota come Pexels, dove videomaker di tutto il mondo, caricano dei video con la possibilità di download gratuito. Una volta scaricati tutti i video, ho iniziato con la tecnica del rotoscoping a tracciare ogni singolo movimento del personaggio per distaccarlo dalla sua realtà e inserirlo nello spazio onirico, creando così, una sorta di limbo dove all’interno i personaggi vagano all’infinito distaccandosi dal tempo e lo spazio

Andrea Lorenzoni – Distante, il video di Debora Sforzini

Debora Sforzini, classe ‘89, ha capitalizzato una frenetica esperienza nel campo del videomaking, occupandosi di pre-produzione, montaggio, direzione artistica e ovviamente regia. Come regista ha lavorato per i bolognesi Grantorino realizzando per loro una trilogia video e la clip per Andrea Lorenzoni intitolata “Distante” di cui parliamo oggi su indie-eye videoclip, dove il corpo, come ci ha detto “si fa tela dei ricordi, di tutte quelle esperienze, idee, valori che ci costruiscono e che ci permettono di diventare quelli che siamo. Così una sagoma in movimento, agli antipodi del suo « involucro », ci richiama al contrasto umano.
Siamo esseri solidi ma con una potentissima presenza astratta che fa da filtro al nostro mondo portandoci a un gioco altalenante fatto di distanza e avvicinamento
. Le relazioni lasciano una traccia dentro di noi, origine di quel contrasto che poi rivela le nostre sfumature. Così, anche quando siamo grigi e distanti, ci portiamo dentro quel ricordo ancora vivo e luminescente. Questo è il concetto di base che ci ha accompagnati dall’ideazione alla regia, fino a tutto il processo di composizione delle scene e delle sequenze, passando per la creazione della sagoma e la realizzazione delle riprese, durante uno dei più solitari periodi natalizi mai vissuti”.

Andrea Lorenzoni su instagram
Street Style Studio su Instagram
Debora Sforzini su Instagram

Scelte cromatiche originali quelle di “Distante”, che si contrappongono al quotidiano per segnalare il contrasto tra essenza e sostanza. Affiancata dal videomaker Daniele Poli di Street Style Studio, la Sforzini ha girato nei tempi stretti e difficili del lockdown natalizio, sfruttando l’arrivo anticipato del crepuscolo in modo da girare in un ambiente che suggerisse atmosfere notturne, per rispettare il coprifuoco delle 22:00.
In questo senso è un video emergenziale, strappato al tempo, che conserva una bella anima urgente all’interno, attinente con le liriche sofferte del brano.

Durante i primi giorni successivi a Natale abbiamo realizzato le riprese della sagoma che sono poi state limitate da una “chiave-luma” – ha aggiunto Debora – così da avere la sola silhouette bianca a disposizione. Successivamente attraverso un software per VJ abbiamo elaborato e esportato in tempo reale sul brano definitivo gli effetti della sagoma e già in questo modo la visione era dinamica e attraente, anche perché la stessa improvvisazione coreografica era stata eseguita a tempo sul brano, da capo a fondo

La location, scelta in modo “neutro”, così da suggerire ambienti suburbani cittadini riconoscibili, è stata scelta sia per ragioni espressive che pratiche. Ubicata vicino allo studio di produzione, ha permesso ai videomaker di fare brevi sessioni entro l’ora di tempo, per difendersi dal freddo e fare alcune pause per riscaldarsi.

Daniele ha ripreso tutto, esterni e silhouette, con la camera Ursa Mini Pro 4.6K – ha specificato Debora raccontando gli aspetti più tecnici – mentre per gli esterni si è munito di steady-cam e corpetto. Quasi tutte le scene in esterno sono state girate in off-speed recording a 38fps con base 25 fps e il brano è stato riprodotto a 152% della sua velocità originale così che ci fosse una sincronia del labiale di Andrea Lorenzoni e una morbidezza dei movimenti che andasse in contrasto con la perfetta sincronia della sagoma. L’unica luce che ci ha accompagnato per tutto il tempo delle riprese in esterna, oltre a lampioni, è stato un piccolo pannello led con diffusore da tenere alla steady-cam

Più specifica la post-produzione, per creare l’effetto luminescente che attraversa il corpo di Andrea, sono stati applicati due segni per il Tracking della sagoma. In studio sono stati rimossi. “Ho usato Final Cut Pro X per per la sua velocità di elaborazione dei file – ci ha confessato Debora – e di gestione dei tagli, oltre che ad apprezzare particolarmente la timeline magnetica. Successivamente il progetto è stato esportato in .XML e importato come timeline in un progetto di Davinci Resolve nel quale intanto Daniele aveva già impostato il girato e le specifiche del progetto. Da questo punto in avanti il video è stato completamente gestito internamente con Davinci per il processo di tracking

Sgrò – Maledizione, il videoclip di Pietro Borzì con le animazioni di Simone Brillarelli

Francesco Sgrò, “cantautore domestico” venerdì 22 gennaio ha pubblicato il suo nuovo singolo “Maledizione”, già veicolato dal relativo videoclip lo scorso 12 febbraio.

La clip mette insieme una serie di riferimenti cinematografici, da Kubrick ad Antonioni, passando per Coppola, Tarantino, Scorsese e sopra tutti lo spirito combinatorio di Michel Gondry.

Per me Maledizione è l’adolescenza – ha detto il lucchese Francesco Sgrò – Prendere il motorino di mio fratello e starmene fuori casa il più a lungo possibile, lasciandomi alle spalle tutte le zanzare che gli altri mi mandano contro. Poi, da adolescenti si è bravissimi, perché si riesce a stare fuori casa anche dentro la propria stanza. Per esempio passando serate intere a vedere film. Questo videoclip è lo sguardo di un ragazzo che guarda film su film sovrapponendo a quelle storie e a quelle emozioni le proprie”.

A realizzare il video è Pietro Borzì, che per l’occasione ha coinvolto l’animatore Simone Brillarelli. Borzì, fondatore di Less TV, documentarista e regista di videoclip, aveva già collaborato con Sgrò per i video di “Le piante” e “In differita“, entrambi legati ad modo specifico di intendere il video musicale, osservato attraverso suggestioni eterogenee che vanno dall’illustrazione, passando per la pop e internet art, oltre alle forme desunte dalla cultura visual e pittorica. Un approccio che Borzì, visionario di talento, ha in qualche modo affinato con il suo personale approccio all’ambito advertising.

Conosciuto Francesco gli dissi subito che col suo progetto avrei voluto lavorare con diversi illustratori, Sgrò è pop e io volevo colore come non mi era capitato di fare in passato su altri videoclip – ci ha detto Pietro – Abbiamo così realizzato prima “In Differita” con Giulia Conoscenti e successivamente come terzo video “Maledizione” per cui volevo il tratto di Simone Brillarelli. Con Francesco è sempre stato molto facile lavorare, non dico che mi abbia dato carta bianca ma quasi, siamo rimasti entrambi molto soddisfatti per tutti e tre i video. Se parliamo di “Maledizione”, l’idea è nata, come sempre, da una personale necessità di riappropriarsi di ciò che trovavo più stimolante e stranamente nuovamente bello in quel momento. In quel periodo per forza di cose, come tutti, stavo riguardando dei grandi classici del cinema, ho pensato quindi di selezionare alcune pellicole che ho sempre amato per costruire la trama di “Maledizione”. Il tratto di Simone oltre che a creare un filo conduttore tra i volti dei protagonisti, ci ha permesso di utilizzare il girato dei film, così manipolato e reinterpretato. Simone è un gran lavoratore, ascolta molto le mie indicazioni ma ci mette del suo e a posteriori posso dire che era proprio la persona giusta per questo tipo di lavoro. Era tanto che volevo fare un lavoro di questo tipo, ma per sporcare bene qualcosa di già perfetto ci voleva un tratto distintivo come quello di Simone. Abbiamo lavorato su Premiere e After, io mi sono occupato dell’editing, poi, indicazioni alla mano, Simone si è divertito sul resto.

Disputa – Tempio, il video di Enea Pignatta

Il mercato discografico non è nulla senza la musica (denti=idee) ed è costretto a rubare da corpi già morti il proprio apparire.

Sono parole di Enea Pignatta, in arte Disputa, 16 anni e idee chiarissime, anche in termini visuali. Un teaser “bunueliano” per promuovere il suo nuovo singolo intitolato “Tempio” e una notevole capacità combinatoria che nello spazio “spoken” del rap, riesce ad infilare lo spirito ludico di Gorni Kramer e Natalino Otto, rileggendo il battito degli anni novanta con originalissima ironia. Niente da condividere con i cascami della trap coeva e del lessico camorrista che l’attraversa, perché Disputa li fa a brandelli con coltissimo distacco raccontando quel buco nero incolmabile tra mercato e creatività, individuo e codificazione del mondo: “L’idea del video – racconta – è nata guardando un’incisione di Goya, dove una donna ruba un dente a un impiccato. Mi ha colpito particolarmente la postura della donna e la sua espressione di disgusto: una scena grottesca di un sarcasmo macabro. Sono stato ispirato da Häxan, “La stregoneria attraverso i secoli”, per la teatralità, la composizione delle inquadrature e l’uso di tecniche differenti, come lo stop motion dell’ultima scena. Per le scene del coma, l’assetto è più classico e plastico, e il mio pensiero è andato al “Compianto sul Cristo morto” di Mantegna. Ho cercato di pulire il più possibile l’immagine e dare continuità narrativa dentro spazi dissimili con l’utilizzo del blu e del rosso, marcando le differenti ambientazioni con l’uso del bianco e nero. Il video e il testo della canzone hanno una sola cosa in comune: la simultaneità. Le immagini del testo si sviluppano con una sequenza temporale, ma in verità sono da pensarsi simultanee. Questo testo nella sua perfezione dovrebbe durare il tempo di un battito, e così il video: non c’è un prima e un dopo. Nel testo vi sono immagini di più epoche storiche e nel video immagini di più mondi. Il video mostra come contemporaneamente l’essere umano attraversi questi passaggi, ovvero dal mondo terreno al giudizio (la mente), fino a limbo, dove l’anima vaga aspettando la fine del giudizio e la definitiva morte del corpo. Nel video l’esperienza che permette questi tre simultanei passaggi è il coma. Il momento del giudizio è rappresentato dai tre impiccati. Una donna, allegoria del mercato discografico, ruba denti d’oro ai cadaveri pur di esibire le proprie ricchezze e il proprio potere, ma in verità è indigente.”

Del videoclip Enea comprende benissimo la possibilità di sfondare tempo e spazio, inventandone uno nuovo, di convergenza, dove tutto può accadere. Storia dell’arte e del Cinema gli servono anche per rileggere alcune iconologie contemporanee legate a fortuna e successo. Riesce a farlo con brillante ironia e con una profondità culturale del tutto assente da quei progetti nati per lo più come estensione di dinamiche lifestyle.

Disputa scrive, dirige e monta i suoi videoclip; “Tempio” è stato realizzato con l’aiuto regia di Gioele Mariani, mentre l’etichetta che pubblica i suoi lavori è Mistress Records, con distribuzione Goodfellas. Tempio si ascolta anche su spotify

Disputa Su instragram

Alessandro Caverni – Semplice, il videoclip girato con Lucia “Bubilda” Nanni e Domenico Parrino

Dirti Non saprei” è il primo album solista di Alessandro Caverni, autore originario di Fano, ma assolutamente apolide nei suoi percorsi tra vita e lavoro, fino ad una radicata e convinta adozione parigina. La sua lunga esperienza nella scrittura di canzoni si concretizza grazie all’incontro con i bolognesi fratelli Piazza, che producono il disco a tutti gli effetti.
Ne viene fuori una sorprendente e rarissima attitudine aliena rispetto al “nostro” cantautorato, la cui struttura guarda senza alcuna paura al pop stratificato di Jim O’Rourke, Sam Prekop, il primissimo Archer Prewitt fino al cubismo del David Grubbs solista, fusi con una ricerca fonetica che affronta la lingua italiana con spinta coraggiosa, tra combinazioni microtonali e intarsi minimalisti.

“Dirti non saprei” si ascolta da questa parte su soundcloud, mentre “Semplice“, il singolo che veicola l’intero progetto è accompagnato da un videoclip totalmente fuori cornice, in un’accezione del tutto positiva, girato negli spazi del Graf S. Donato a Bologna.
Realizzato in stretta collaborazione con Lucia “Bubilda” Nanni, textile artist che disegna con la macchina da cucire e il contributo tra regia e montaggio del regista e documentarista Domenico Parrino è un lavoro che sfugge facili categorizzazioni, seguendo gesti e movimenti ancora prelinguistici di un bimbo, tra creazione “leggibile” del mondo e improvvisa illeggibilità.

Alessandro Caverni su instagram
Lucia “Bubilda” Nanni su instagram
Domenico Parrino su Humareels

Quando ho contattato Lucia “Bubilda” Nanni per chiederle se poteva interessarle una collaborazione tra di noi avevo da poco finito di registrare “Dirti non saprei” – ci ha detto Alessandro CaverniCi siamo dunque incontrati e dopo avermi detto che avrebbe accettato ed esserci scambiati subito qualche idea le ho chiesto di scegliere la canzone su cui preferiva lavorare. Deciso per “Semplice”, Bubilda mi ha immediatamente descritto “l’uomo Flebotonico”, un’idea che immagino avesse già in mente da qualche tempo per conto suo, e me lo ha così proposto come soggetto per un videoclip

No, non voglio ascoltare nulla, voglio conoscerti, poi vediamo” Risposi così ad Alessandro. Data la mia poca disposizione alle note ho preferito conoscerlo davanti ad un caffè: io mi oriento molto di più con volti e parole. Aveva una voce aggraziata e occhi grandi, nerissimi e luminosi” – ha specificato Lucia “Bubilda” NanniL’arazzo è stato steso a terra ( Filippo -3 anni-poteva camminarci sopra) e installato come fosse il tetto di una capanna: per dare al bambino tutte le possibilità spaziali del telo rispetto al suo corpo. L’arazzo ha coinvolto il lavoro del mio corpo e del corpo di un bambino, nel controllo e nello sforzo di gestire una dimensione più grande del corpo di entrambi (anche per la mia tecnica, il disegno con la macchina da cucire, controllare questa dimensione è una sfida)

“Semplice” – Making of

Abbiamo pensato che ad un’immagine così cruda e forte come quella di una mappa anatomica medievale– ha aggiunto Alessandro Cavernisarebbe stato interessante contrapporre quella che a livello ideale appare più pura e innocente, vale a dire un bambino, e di lavorare su questo contrasto. L’idea mi è molto piaciuta perché in maniera non esplicita ma in qualche modo analoga rifletteva l’immaginario alla base di “Dirti non saprei” ed il suo carattere stilistico

Se fossi corpo” ovvero l’uomo flebotomico– specifica Lucia “Bubilda” Nannievoca le prove del corpo, la prima fra tutte un tentativo di ricomposizione della dissociazione cartesiana (mente/corpo) nella sfida della cura del corpo; riferimenti alla medicina medievale (sapere pratico e teorico) dove il corpo diviene una mappa di segni e simboli che richiamano una compenetrazione di mondi allineati (quadro astrale, anatomico, fisiologico, umorale, musicale, religioso)”

Ho cercato di dare al mio lavoro l’aspetto di un insieme di fogli sparsi, di schizzi e bozzetti che dessero per quanto possibile (e comunque in un lavoro compiuto) un senso di non
finito
– ci ha detto Alessandro Caverni a proposito di “Dirti non saprei” – Appunti quindi e note a margine di un qual si voglia discorso principale e, perché no, del Discorso con la “D” maiuscola. Tra suoni distorti, spessi e a tratti saturanti, la voce stenta a stare a galla, esita al limite tra pre-linguistico e “dire” vero e proprio: dall’essere cioè pronunciata.
In un puro piacere all’immaginazione e alla fantasticheria la voce si trattiene dal farsi vero e proprio discorso per anticipare e forse scongiurare il veicolo/vincolo del segno scritto e codificato. Una sorta di balbuzie del pensiero che a tratti esplode e può sciogliersi in canto amoroso come anche in semplice gioco fonosimbolico a mo’ di filastrocca, a dispetto delle infinite possibilità combinatorie delle parole, di quelle parole e segni che hanno costruito e su cui poggiano la cosiddetta cultura ed il sapere in senso lato. Passati e potenziali
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“Semplice” Making of

Semplice, il brano di Alessandro – aggiunge Lucia “Bubilda” Nanni – diventa l’elemento armonico, compimento di quell’ingranaggio meccanicistico medievale segnando, come la mano di Guido d’Arezzo, il punto di contatto e di allineamento – natura/uomo/universo – Lo “sfregio” (l’azione del bambino sul lavoro) segna invece un rapporto diacronico rispetto alla stratificazione del sapere, come atto procedurale dell’agire umano, dove l’esperienza e l’azione equiparano arte e scienza in una costante verifica delle forme, in cui l’istituzionalizzazione dei saperi è preceduta dalla violazione di un divieto (simbolicamente lo sfregio a cui è stato sottoposto l’arazzo – sfida e gioco -)

Mi sembra che il tappeto di Lucia racchiuda e sintetizzi con estrema efficacia questa totalità di cui parlavo – specifica Alessandro Caverni – la quale, data la sua vastità, è al limite del comprensibile. Ammesso che questo spettacolo possa suscitare spaesamento e vertigine, certo non ha questo effetto su un bambino il quale, impassibile ed incurante di tale portata simbolica calpesta, strappa e riordina a suo modo fili in cui si intreccia e districa, scarabocchia la superficie del tappeto nell’istintivo e semplice gesto ludico.

Il videoclip di “Semplice” nasce, ascoltando le melodie e le strofe di Alessandro, come racconto su un percorso non definito, molteplice e sovrapposto – ha specificato Domenico ParrinoNon un videoclip “sulla strada da seguire” ma un racconto visivo sulle varie interpretazioni che può assumere il percorso stesso. Un percorso costituito dai fili in tessuto che fanno parte dell’opera dell’Artista Lucia “Bubilda Nanni”: Uomo Flebotomico. Queste strade che compongono l’opera sono le interpretazioni che diamo ai nostri vissuti e che scorrono in altrettante e diversi cammini. Il tutto attraversato dall’anarchia dei giochi infantili, incontrollabili e imprevedibili del piccolo Filippo che diventa un inconsapevole Deus ex machina

“Semplice” Making of

Mi sono rivolto a Domenico Parrino e gli ho esposto l’idea chiedendogli di girarlo – ha aggiunto Alessandro CaverniAbbiamo così cominciato a riflettere sulla realizzazione pratica e durante la stesura dello story board pensavamo già ad un largo uso della sovrimpressione per sfruttare il più possibile i dettagli del tappeto di Lucia. Ad accoglierci sono poi stati i ragazzi del Graf a Bologna , gentilissimi ed ospitali, ed abbiamo girato il tutto in due giorni presso il centro comunale che loro gestiscono nel quartiere di S. Donato

Negli spazi del Graf San Donato è stato montato un vero e proprio set – ci ha detto Domenico ParrinoPer quanto riguarda invece il montaggio, ho scelto uno stile che facesse un largo uso delle sovraimpressioni, per raccontare al meglio le sfaccettature del videoclip e per dare ad ogni immagine il giusto flusso visivo per intrecciarla con quella successiva. Le stesse impressioni che mi ha lasciato al primo sguardo l’opera di Lucia per poi andare a scoprirne ogni dettaglio. Mentre Filippo, il bambino, è stato libero di agire sull’opera giocando con essa. Senza una sceneggiatura e senza dargli istruzioni, seguendolo e basta come a documentare una sua interpretazione.