Bryan M. Ferguson è un talentuoso regista scozzese con un’occhio particolarissimo e riconoscibile. Attratto dal microcosmo umano, unisce gli aspetti prosaici dell’esistenza alla manifestazione dello straordinario. I suoi sono video sporchi, suburbani e a tratti sottilmente disturbanti, ma anelano sempre verso una rivelazione dalle caratteristiche straordinarie. Basta vedere le sue clip per Sega Bodega, quelle splendide realizzate nel 2020 per Fish Narc, per essere proiettati immediatamente in un mondo notturno, tanto riconoscibile quanto imprevisto.
Non differisce la nuova clip realizzata per Arab Strap intitolata ‘Here Comes Comus!
“Quando ho sentito per la prima volta le liriche del brano scritte da Aidan, la mia mente è stata rapidamente gettata in una torbida fossa di assoluta dissolutezza e volevo davvero che il video fosse una storia di eccessi che corrispondesse non solo ai testi ma all’intera mitologia di Comus che è il dio ribelle della festa che rappresenta più o meno l’anarchia e il caos – ha dichiarato il regista – Ho sentito che il video aveva bisogno di esplorare questi temi di eccessiva indulgenza proprio come il protagonista. Volevo far sentire lo spettatore sporco e forse persino disgustato dal proprio godimento delle immagini“.
Third Man Records e Columbia Records cntinuano a promuovere The White Stripes Greatest Hits con la premiere di un leggendario live registato dal noto due per Sy Arts e il format “From the Basement”. La session, che include anche “Blue Orchid”, brano inserito nella raccolta, fu registrata dal vivo nel novembre del 2005 ai Maida Vale Studios di Londra insieme al produttore Nigel Godrich e la pluripremiata regista di videoclip Sophie Muller (The Raconteurs, The Dead Weather, The Kills, Gwen Stefani & No Doubt, Mae Muller, Garbage ). Trasmessa per la prima volta nel 2007 come episodio pilota dell’intero format, approda in rete in versione integrale con materiale mai visto, incluso alcune B-Roll dalle sessioni stesse. “Il sogno di From The Basement è quello di catturare grandi performance con un approccio diretto e bellissimo – ha dichiarato Godrich – sia sonicamente che visivamente. Fummo cosi fortunati a poter contare sul supporto di Jack e Meg, che avevano capito istintivamente il concept dello show tanto da diventare parte di esso. Come risultato abbiamo questa fantastica fotografia della loro energia e del loro stile. Una performance intima e diretta, magica, assolutamente speciale. Un giorno che non dimenticherò mai“
“Tutto si è sistemato perfettamente in modo molto veloce – ha aggiunto la regista Sophie Muller – per la disponibilità di Jack e Meg e la chimica spontanea tra di loro, tanto da consentirmi sostanzialmente di girare quello che vedevo. Quello che accade tra di loro, qualsiasi cosa sia, è così semplice, ma così speciale ed è stato un onore essere una testimone. Amo molto questa performance cosi elettrizzante“
Tommaso, Elia, Andrea. Minatori di idee. Questo è il modo in cui il team Creativite pesenta il proprio lavoro, progetto di comunicazione che connette la fisiologia dei social network con lo sviluppo di videoclip. Oltre a frammenti live, promo e una serie di videoclip più specifici, hanno realizzato le clip per Normal e questa più recente per Dellai, tra le nuove proposte di Sanremo 2021. La clip di “Io sono Luca”, strettamente legata a forme narrative tradizionali, è stata realizzata da Tommaso Puleo in veste di direttore creativo ed Elia Menon alla direzione della fotografia.
Richard Barbieri torna a collaborare con Miles Skarin, metà della Crystal Spotlight insieme al fratello Rob, per la realizzazione del video di “Serpentine“, nuovo singolo dell’artista inglese e primo estratto da “Under A Spell“, prossimo album da solista, pubblicato da Kscope a partire dal prossimo 26 Febbraio. Skarin, che vanta una videografia di alto livello per artisti come Steven Wilson e Dream Theater, ripete in termini tecnici lo stesso tour de force realizzato per “Solar Sea”, brano tratto dal precedente album di Barbieri, “Planets + Persona”, dove il videomaker britannico aveva sfruttato un tecnica a 360 gradi.
Il “viaggio”, consigliato con un set VR, era un’elaborazione grafica e realistica della turbolenza planetaria, mentre nel caso di “Serpentine” si ricostruisce la soggettiva di un serpente in un contesto naturale più riconoscibile, ma altrettanto immersivo. Senza un dispositivo adeguato per la visione in realtà virtuale, il risultato è delimitato dalla cornice delle schermo; in ogni caso per ammirare la qualità grafica, consigliamo la visione settando la risoluzione 4k con cui è stato realizzato il video.
L’atmosfera da incubo proviene da un’esperienza onirica dello stesso Barbieri, rielaborata in termini grafici dal talentuoso artista visuale.
Non a caso, Giulia Parin Zecchin, durante l’annus horribilis 2020, ha pubblicato una raccolta di poesie per Eretica Edizioni, intitolata “Il Cuscino È il Confessore“, dove emerge una relazione metamorfica con la parola.
Qui la parola diventa oggetto, segno grafico, ideogramma, quindi immagine, in una mutazione a vista d’occhio che partecipa in egual misura dello spirito legato al cinema d’animazione, con quelle forme che procedono dai visuals verso una rilettura personale e non allineata delle possibilità motion gaphics.
Oltre a questo, la clip di “No Destroyer” ci è sembrata un’ottima sintesi di quella relazione tra artwork e videoclip, che attraversa le migliori stagioni della videomusica, a partire dagli anni ottanta, dove l’uno era il prolungamento dell’altro. Una dimensione che sopravvive nel contesto underground per un motivo tanto semplice, quanto trascurato: la sopravvivenza dei supporti fisici (Vinile, CD, audiocassetta) come forma di artigianato creativo, da dove possono originarsi racconti molteplici e percorsi transmediali.
Per conoscere da vicino il lavoro e le intenzioni di queste tre artiste brillanti, abbiamo fatto una conversazione con loro intorno alla realizzazione di “No destroyer”.
Julinko – No Destroyer (Disegno, Linda De Zen; Animazione Elisetta Jomodoro)
Pittura, illustrazione, animazione. Elisetta e Linda Come avete messo insieme il vostro talento e le vostre competenze per il lyrics video di “No destroyer”? Raccontateci l’interazione e il lavoro svolto.
Elisetta: Quando Giulia mi ha proposto di creare un lyrics video per No Destroyer, aveva con Linda già definito l’artwork del disco: per questo ho principalmente interagito con Giulia, definendo da subito che il disegno di Linda sarebbe stato il soggetto, il filo conduttore dell’animazione, e che non sarebbero state necessarie integrazioni da parte di Linda: eravamo tutte e tre d’accordo su provare ad estrapolare un’idea suggerita dall’immagine, invece di creare un’immagine che si adattasse a un’idea, com’è invece spesso il processo di progettazione di un video animato. Volevamo fosse un ibrido tra un lyrics video e un videoclip. Un lyrics video che incorporasse l’artwork in maniera centrale attraverso un’idea e non soltanto con una composizione degli elementi. Ne è emersa subito la possibilità della deformazione del tratto. Di approfittare del tratto per creare un gioco visivo. Ho quindi digitalizzato il disegno di Linda con un ritracciamento dei singoli segni, che ho poi animato singolarmente, allontanandoli e riavvicinandoli tra loro nel tempo in maniera esponenziale, in modo che lungo tutta la durata del brano la decomposizione dei tratti si esasperasse progressivamente. Non essendoci una reale narrazione nel video, non si è reso necessario uno storyboard.
Linda: Giulia stava dando forma a questo suo progetto, potente, personale e unico e mi ha chiesto di fare un’illustrazione, partendo da suo ritratto. Ho avuto la fortuna di ascoltare le tracce in anticipo e questo mi ha permesso di immergermi nella sua sonorità, nel suo mondo e disegnando io ad occhi chiusi, o meglio senza guardare il supporto dove traccio il segno, ho potuto dare questa forma all’immagine di lei. É stato un lavoro di neri e rossi, di spessori e di scelte di penna e di pancia, sia per il tratto fino che per il poco uso del colore. Non avevo mai visto un mio ritratto animato e il lavoro fatto da Elisetta è una magia che a mio avviso dona al volto di Giulia le mille sfumature dell’espressione. Cambia, muta si scompone e ricompone seguendo la musica ma anche le varie personalità contenute in ciascuno. Il progetto è stata una staffetta di competenze, dove Giulia teneva le fila del suo pensiero lasciandoci libere di farlo anche nostro.
Giulia, che tipo di indicazioni e interventi hai offerto per il video. Libertà massima o controllo assoluto?
Giulia: Ho semplicemente riportato ad Elisetta un’illuminazione notturna, certa che lei sarebbe riuscita a realizzarla grazie alla sua abilità e al suo gusto. Da tempo ero alla ricerca di un’idea semplice ed efficace per accompagnare “No Destroyer”. M’interessava dare un’immagine iconica ma intimista, forte della sua fragilità, in linea con i sentimenti che mi legano al brano e col periodo critico in cui è stato registrato. In precedenza avevo chiesto a Linda di fare un ritratto all’autoritratto fotografico che fa da copertina all’Ep. Il disegno conteneva tutto – minimalismo e drammaticità; iconicità e frammentazione – e l’ho immaginato in movimento, insieme al testo; necessità espressiva e comunicativa che non avevo mai sentito prima, nell’ambito dei miei video musicali. Dunque queste sono state le mie due richieste, dopodiché Elisetta ha svolto il tutto secondo la sua sensibilità. Essendo abituate a collaborare, è stato molto naturale guidare l’opera verso la sua destinazione finale, consultandoci solo in un paio di momenti riguardo alla forma che stava assumendo. Era proprio quella che desideravo e che avevo visto ad occhi chiusi.
Elisetta e Linda, il videoclip è uno strano ibrido. Da una parte la scomposizione dell’artwork che è legato alla musicassetta di Julinko, dall’altra una forma di lyrics video diversa dalla forma “motion graphics” a cui ci ha abituato l’industria. Al contrario dei prototipi di consumo, la cornice è fissa e assistiamo ad una scomposizione degli elementi costitutivi del tratto, quasi molecolare. Come mai questa scelta?
Elisetta: Personalmente ho trovato interessante il processo di distruzione dell’immagine in contrapposizione al titolo e al senso del brano, No Destroyer. Il disegno di Linda, che poi è un ritratto di Giulia, sembra continuamente perdersi ma cercare di ricomporsi, in un flusso vibrante e oscillante com’è la musica che accompagna. Poi a tratti la sensazione è vagamente cosmica e onirica, che sono due parole che ben si accostano al progetto Julinko. Il prototipo del consumo non esiste perché Julinko è un prodotto artigianale e necessita del giusto tempo d’ascolto, di un rituale di raccoglimento, nel quale una motion graphic frenetica come quelle industriali non trova il giusto spazio. In questo è stato fondamentale il punto di vista di Giulia, perché inizialmente l’animazione aveva già le caratteristiche di questa lenta scomposizione ma mancava il giusto trattamento cosmetico. Mancava qualcosa a livello di vibrazione, e l’introduzione del potenzialmente ingenuo effetto-pellicola in questo caso ha funzionato bene, apportando a un video che era troppo “pulito” una sensazione di oscillazione, una corda vibrante. Una maggiore generica intensità.
Linda: Trovo che il video scandisca bene il tempo della musica, che il lavoro fatto da Elisetta di destrutturare ogni singolo segno e rendendoli autonomi uno dall’altro restituisca la stessa mutevolezza visiva delle note della musica stessa. E un lavoro di compenetrazione sonora e visiva, quasi un viaggio onirico in luoghi diversi dell’espressione. Essendo il primo progetto musicale a cui partecipo non conosco le regole estetiche che dovrebbe avere, ma già che esista un canone e la possibilità di discostarsi da esso mi sembra un motivo valido alle scelte stilistiche fatte. Giulia crea suoni che inducono sia a pensare che a viaggiare e la non linearità della forma del video aiuta l’ascoltatore a trovare una propria dimensione di ascolto.
Giulia, la tua musica a mio avviso contiene una componente visuale molto forte. Non solo per il modo in cui dialoga con le suggestioni e i segni di una spiritualità sincretica, ma anche per le scelte sonore, che si muovono tra la materialità terrestre del Doom e la forma più eterea di una drone music ipnotica e visionaria. Cosa ne pensi e soprattutto quanto e come per te l’immagine diventa complementare e parte dei tuoi suoni?
Giulia: L’immaginazione è il primo movimento di creazione. Un oggetto, un colore, una scena: noi tutti creiamo un’immagine personale interiore di quello che vediamo e viviamo. È la nostra esperienza della realtà e va a formare i contenuti del nostro futuro prossimo. Colleziono foto della mia vita quotidiana: autoritratti, scenari naturali, dettagli, particolari sfocati. Una specie di registro del “percepito” e del “possibile”. Sono appassionata di pittura ed illustrazione. I miei giorni hanno sempre un tema visivo che spontaneamente affiora. Lascio libri aperti su immagini specifiche, cambio lo sfondo del pc e del cellulare per accordarmi al tema. Sono una musicista autodidatta, ho cominciato a cantare da molto piccola facendo parte di cori di musica sacra, ho tenuto diari di pensieri sin da bambina. Quando da adulta mi sono ritrovata a comporre con voce e chitarra, mi sono sempre ritrovata aggrappata ad un’immagine, legata ad una sensazione o a un suono: una scena vista per strada, una scarica di tuono nel cielo, l’intensità e l’odore del verde muschio d’inverno, l’indaco del mare, la profonda cavità di una grotta e la sua eco, la forma di una ferita, il singhiozzare ovattato di un volto rivisto in un sogno. (Ri)suonare per me è il modo più potente per vivere e per riportare una multidimensionalità esistenziale. La musica è fatta d’aria, organi, vibrazioni, strumenti, echi, elettricità, parole, silenzi, persone, solitudini… e tendo a viverla nelle sue estremità: dall’estasi al tormento, dal polveroso sotterraneo all’etereo sognante. Un gioco interessante che finora mi ha sempre divertita ed appassionata molto è stato quello di creare per ogni album/ep un’immagine in cui confluisse tutto ciò che la musica contiene. L’immagine è una porta: la creazione dell’artwork non è meno importante di ciò che succede a livello sonoro. Concepisco il tutto come parte della stessa opera.
Parto da lontano; per indie-eye ho intervistato personalmente e più volte Chelsea Wolfe. La prima volta abbiamo collaborato nella realizzazione di un video a distanza, dove Chelsea ci ha sostanzialmente fornito i suoi primi videoclip, da lei diretti. Nel tempo ha mitigato questo accentramento, lavorando sulla sua immagine come icona, grazie ad una serie di collaboratori audiovisuali che ne hanno curato tutti gli aspetti espressivi e mediatici, separando quindi ruoli che prima erano maggiormente confusi.La domanda è quindi duplice; Chelsea Wolfe è per te un riferimento? E in secondo luogo, pensi che la separazione di ruoli sia fondamentale per il modo in cui concepisci il tuo spazio creativo?
Giulia: Avevo iniziato a comporre da un paio di mesi quando incappai per la prima volta in un video di Chelsea Wolfe, nel 2013. Era un live acustico di “Flatlands”. Fui subito ammaliata dalla sua voce e dalla sua aura. Percepii in lei qualcosa di molto familiare. Il suo modo di fare musica mi rivelò un canale espressivo che era ancora latente in me. Il mio lavoro è spessissimo accostato al suo. Seppur a volte ciò avvenga per pura necessità di categorizzazione, la cosa mi onora, perché amo tutti i suoi dischi. Quindi sì, posso certamente affermare che per me è un’artista di riferimento, una sensibilità a cui mi sento particolarmente legata. Personalmente sono maggiormente attratta dai suoi primi videoclip che dalle produzioni più iconiche degli ultimi anni, ma a livello musicale il suo percorso continua essere molto autentico e vario. La sua immagine mediatica è diventata poderosa pur mantenendosi sempre coerente con l’essenza poetica ed estetica che l’ha caratterizzata sin da “The Grime and The Glow”. Rendere accessibile la propria opera ad un pubblico più ampio di quello dell’ambiente alternativo/underground, è fondamentale per chi fa della musica la sua professione. Da questo punto di vista credo sia più efficace lasciar fare ad ognuno il suo lavoro ed esprimere le proprie competenze. Nel mio piccolo, il video di “No Destroyer” me l’ha dimostrato. Dopodiché, mi sento di dire che ognuno ha il suo percorso, e spesso i musicisti tendono alla multidisciplinarietà: perciò dipende tutto da dove si decide di concentrare le proprio energie e i proprio sforzi, dalle opportunità che ti si presentano dinnanzi. Per quanto riguarda Julinko, il progetto è ancora un ibrido in cui le mie forze interagiscono con ispirazioni e talenti altrui, dirigendone i movimenti.
Per esempio, per quanto la tua videografia sia costituita ancora da poche clip, cerchi una costante nelle modalità espressive, nell’atmosfera e nel tono dei video che si riferiscono alle tue canzoni?
Giulia: I video che ho realizzato prima di “No Destroyer” insieme ed Elisetta e Carlo Veneziano sono abbastanza omogenei tra loro: riportano delle gestualità rituali e simboliche, accostando l’esperienza del sacro e del mistico ad una dimensione selvatica e decadente, in certi casi quasi primordiale.
Julinko, Sycamore Tree. Video di Elisa Fabris.
Ho diretto e montato delle clips anche di natura più intimista e frammentaria, come per esempio “Gold and Slumber” , “πᾶν”, “Mime the Masque”. “No Destroyer” è figlio del momento in cui tutti programmi che avevo in testa sono saltati nel giro di poche settimane, a causa della crisi pandemica: concerti, prove, produzioni, investimenti musicali.
Julinko, Ruins. Video di Elisa Fabris
Insieme a tutti i programmi sono probabilmente sfumati anche i contorni di una certa idea estetica che avevo del mio progetto e della mia arte in generale, lasciando spontaneamente spazio a nuove forme espressive: ho messo insieme una collezione di poesie in italiano edita Eretica Edizioni; ho pubblicato un EP brevissimo sfidando le mie stesse aspettative passate di necessaria lunghezza e corpulenza; è arrivata l’animazione… Soffia un vento nuovo, e in controtendenza con le dinamiche restrittive di questi giorni, mi sento più libera. E la mia arte con me.
Julinko, Mime the Masque – video di Giulia Parin Zecchin
Elisetta e Linda,Tra illustrazione e animazione c’è un passaggio nient’affatto scontato. Cosa si perde e si guadagna, in termini espressivi.
Elisetta: In termini di perdita, con l’animazione si va principalmente a perdere l’oggetto. Si perde il valore del tangibile in cambio di un prodotto digitale. Si perde anche l’autonomia nella scelta del tempo che vi ci vogliamo dedicare. Un video dura una determinata quantità di minuti: è un approccio diverso, per l’attenzione dello spettatore, rispetto a un dipinto da guardare, potenzialmente, all’infinito. In cambio si guadagna l’animazione stessa, e quindi la possibilità di raccontare, di poter far accadere qualcosa nel tempo. Un disegno diventa libero di muoversi e gli effetti conseguenti sono limitati (quasi) solo da eventuali lacune immaginative.
Linda: Non è ne perdita ne guadagno, è un cambiamento, la scelta di modificare i termini di percezione, da un’immagine statica ad una in movimento, da un’interpretazione unica di un oggetto tangibile alle sue mille sfumature su un supporto digitale in movimento. Cambiando i parametri e gli intenti dell’osservazione abbiamo un’evoluzione sia del segno che del contenuto. La cosa interessante è che il veicolo su cui si muovono i cambiamenti è la musica.
Elisetta reel 2019
Elisetta e Linda, che esperienze avete avuto con il formato videoclip e che potenzialità ha secondo voi, proprio adesso che l’animazione sembra nuovamente al centro di questo formato ibrido e di convergenza?
Elisetta: Ho avuto l’occasione di lavorare a diversi videoclip in animazione. Con Julinko abbiamo dei precedenti, ma in tutti i casi si è trattato di shooting, quindi riprese e montaggio, nessuna animazione se non qualche effetto psichedelico in post-produzione. Ho realizzato video animati per Maurizio Abate, per Love in Elevator, OJM, Fango, e per la band corregionale Los Massadores. Il potenziale sta nell’assenza di limiti a livello narrativo. Tutto quello che può essere immaginato può, più o meno, essere disegnato e animato. Più o meno, per la complessità che l’animazione può in certi casi raggiungere, o per via dei tempi di realizzazione che possono allungarsi anche di molto rispetto al tradizionale shooting editing. E i conseguenti costi. Ma di certo non servono comparse, videocamere, luoghi perfetti, stagioni favorevoli. Potenzialmente può lavorare anche una persona sola, con un computer, nel suo studio.
Linda: Occupandomi principalmente di quadri e libri è stata una sorpresa vedere come il disegno possa essere manipolato e reso a sua volta tela bianca per qualcos’altro. Le possibilità sono infinite e proprio per questo danno la possibilità di creare nuovi concetti da trasmettere e nuovi stimoli visivi. I limiti del nostro mondo sono i limiti del nostro linguaggio, è importante avere strumenti nuovi con cui reinventare ciò che vorremmo vedere nel mondo. Ringrazio veramente Giulia ed Elisetta per questa esperienza che mi ha arricchito molto. Ora vorrei fare una mostra di volti animati!
Giulia, la tua immagine live è molto potente. Oltre ad una serie di video funzionali, ne circola uno girato a Varsavia. Sembra realizzato a bassa definizione. Si tratta di un trucco oppure è davvero stato girato su nastro VHS? In ogni caso, il risultato visivo e aurale è molto interessante, puoi parlarcene?
Giulia: I due frammenti del live sono stati filmati nell’agosto del 2018 al Chmury di Varsavia. È certamente poetico immaginarli come dei nastri roteanti ed usurati, ma non è così. La promoter del concerto, Magda, in arte S.K.Y., è anche un’affascinante cantante ed artista, molto attiva nella scena elettronica e DIY polacca. Realizzò i filmati con il suo cellulare ed un app che ricrea appunto l’effetto VHS. Su Youtube si trova un suo videoclip realizzato con lo stesso mezzo. Il singolo si chiama H e a d s h o t. Il concerto faceva parte parte di un tour di una decina di giorni attraverso diversi paesi dell’Europa centro-orientale, in formazione con Carlo Veneziano (batteria e synth) e Francesco Cescato (basso). Purtroppo non si percepisce da questi video, ma Francesco si esibì ogni sera sul palco indossando un lunga tunica nera, dopo essersi dipinto corpo e viso di un intenso blu elettrico. Era un suo modo per entrare nella musica, che effettivamente aveva molto di quel colore. L’effetto visivo era davvero potente. Al ritorno dal tour registrammo il full-lenght album Nèktar, uscito nel 2019 in vinile e cassetta per Toten Schwan Records e Stoned to Death Records. L’immagine di copertina ruota attorno ai toni del blu!
Con la promessa di raccontarvi presto il cloud computing applicato al video editing, aspetto centrale anche per i lettori di indie-eye videoclip, la prendiamo larga raccontandovi intanto come fare per ottenere una certificazione da Amazon, per tutti coloro che intendano specializzarsi nelle tecnologie Examsnap Amazon AWS. La crescente popolarità del cloud computing e di servizi AWS Certbolt, fa si che la richiesta di specialisti esperti nella progettazione di soluzioni cloud al passo con i tempi sia sempre più alta da parte delle aziende. Ecco perché un attestato di qualità può essere di grande aiuto per dimostrare le proprie capacità e l’esperienza raggiunta. Con questo articolo cercheremo di spiegarvi, in modo sintetico e fruibile, cosa è necessario fare quando si desidera ottenere quando si vuole ottenere un certificato di livello professionale per le soluzioni e l’architettura AWS. Intanto è necessario sapere di cosa si tratta: è un’attestato che convalida le competenze tecniche di uno specialista capace di progettare applicazioni e sistemi distribuiti su AWS. Ma quando parliamo di esperienza, quale è quella necessaria? Quali i passaggi da compiere? E soprattutto, quali i materiali di studio e apprendimento per verificare il proprio livello di conoscenza in virtù di una valutazione successiva?
Prerequisiti d’esame e dettagli
Tutti coloro che aspirano al livello specialistico per le soluzioni e architetture certificate AWS, possono testare il proprio livello attraverso Amazon AWS Dump. L’esame è strutturato mediante domande a scelta multipla e il completamento è stimato intorno alle tre ore. Il costo è d 300 USD. Il punteggio ha un range che varia da 100 a 1000, mentre il minimo richiesto, ricordiamolo è di 750. Per accedere alle competenze di cui ogni specialista del settore necessita, SAP-C01 si concentra sui seguenti argomenti: progettazione per complessità organizzativa, sviluppo per nuove soluzioni, controllo dei costi, pianificazione delle migrazioni e miglioramento costante per le soluzioni già adottate. Se consideriamo questi aspetti, diventa prezioso per i candidati acquisire una serie di competenze pertinenti, per far si che il test sia meno impegnativo. Queste competenze includono
Almeno due anni di sviluppo e distribuzione architetture cloud AWS certbolt
Spiegare e applicare i cinque pilastri esistenti che guidano il Framework per la perfetta architettura AWS
Mappatura degli obiettivi di business per le app o per i requisiti dell’architettura
Progettazione di un’infrastruttura ibrida con tecnologie chiave per AWS così come per AWS Direct
Progettazione di un processo continuo per l’integrazione e la distribuzione
Nonostante il lungo e dettagliato elenco di certificazioni, non è così difficile acquisire tutte queste conoscenze e competenze, se si considera la vasta gamma di materiali adibiti alla formazione. I materiali di apprendimento sono messi a disposizione del fornitore attraverso percorsi, approfondimenti, webinar e test pratici.
Perché i test pratici sono fondamentali?
L’esame certbolt SAP-C01, lo si affronta maglio con la piena conoscenza dei suoi elementi costitutivi. Conoscere il programma potrebbe quindi non essere sufficiente. Quindi si rende necessario, una volta imparato gli argomenti principali, effettuare diverse prove pratiche. Queste hanno uno standard molto simile all’esame di valutazione effettiva e riproducono l’atmosfera e lo spirito dell’esame. Allenarsi con queste prove, consente di conoscere la struttura stessa dell’esame, aiuta a gestire in modo corretto e proficuo il tempo a disposizione e a scoprire l’approccio migliore per svolgere i compiti assegnati. Oltre a questo, all’interno si trovano molti test pratici che contengono domande reali effettuate durante esami precedenti, un aspetto da non trascurare perché consente di studiare con contenuti praticamente reali.
Conclusione
I video Exam-Labs di training per specialisti Amazon AWS sono fondamentali per tutti coloro che vogliono utilizzare la tecnologia cloud per creare app. Il certbolt AWS offre un percorso completo per sviluppare le competenze richieste, necessarie per lavorare come architetto di soluzioni. Studia quindi gli argomenti che vengono via via delineati, assicurati che i test pratici siano il materiale principale per la tua preparazione; in questo modo supererai l’esame con facilità. Se ottieni la certificazione oggi, soddisferai la crescente domanda per gli specialisti di tecnologia cloud AWS
Cominciamo da Celia Hempton. Per chi non avesse familiarità con la pittura dell’artista britannica, la sua relazione “espressionista” con il colore, pur servendosi della materialità di supporti e vernici, crea un ponte con il mondo digitale, per il modo in cui cerca e recluta soggetti attraverso i dispositivi interrelati del web. Modelli intercettati in chat, più o meno informati sul loro ruolo, con i quali stabilisce una connessione erotica “impossibile”. Il risultato è uno studio incessante e talvolta furibondo tra i limiti della tela e le possibilità espanse del colore. Proprio in questa battaglia l’estrema potenza cromatica delle sue opere recupera i corpi frammentati nello spazio digitale, come magma fisico in costante movimento, tra riappropriazione e dissoluzione dei principi identitari.
Il maelstrom mutante della Hempton compare a più riprese nel nuovo videoclip di Sufjan Stevens, diretto da Luca Guadagnino. Il regista siciliano, abita perfettamente quel luogo di convergenza di cui parliamo sempre da queste parti, in relazione all’evoluzione storica del video musicale.
In un limbo bianco filma corpi che attraverso il movimento, introducono la fluidificazione metamorfica del percepirsi. Qui, adesso, in uno spazio senza alcun riferimento dimensionale, con il corpo come unico e solo recettore, all’interno di un Eden negativo dove la conoscenza di se deve essere riattivata.
L’idea proviene direttamente dal progetto espositivo del fotografo cremonese Alessio Bolzoni, curato da Teresa Macrì e diffuso per le strade di Milano dal giugno 2020. “Action Reaction. Billboard Project” interrogava l’isolamento che abbiamo vissuto e stiamo vivendo attraverso 26 cartelloni pubblicitari. Da una parte il Billboard stesso come spazio di relazione dove l’arte può mettersi in gioco, dall’altra un discorso più ampio sul corpo, dove la sua fenomenologia viene riscritta a partire da un confine, che provocatoriamente mi piace definire “concentrazionario”. Da quella costrizione i corpi fotografati da Bolzoni provano a riattivarsi, a riscrivere la propria storia, a farsi segno in una realtà che sta cancellando ogni traccia di se.
Guadagnino muove questi corpi che negli scatti di Bolzoni esprimono urgente potenzialità, cercando in forma combinatoria di farli reagire con il lavoro della Hempton in termini più visuali ed empirici che concettuali.
Anche il magma coloristico delle pitture si muove grazie alla post produzione digitale e sembra elaborare un passaggio dai fenomeni sinestetici di luce pura che introducono il video, fino alla trasformazione da corpo a magma, dal tatto al pixel.
In questo senso la clip di Tell me you love me legge l’universo poetico di Stevens rilanciando il dissidio tra identità e natura, come se fosse la riscrittura della tradizione biblica immaginata da Angela Carter, secondo quei principi alchemici di trasformazione della materia che sostituiscono il personale con lo spirituale e quest’ultimo come energia pre-formale da cui può emergere anche il politico.
La volpe, mutaforma per eccellenza tra cultura orientale e occidentale, appare come ultimo stadio, prima di tornare ellitticamente alle forme luminose. Ci guarda e ci invita a recuperare una relazione incondizionata con il paesaggio, uscendo dalla frontalità spettatoriale e penetrando quella contemplativa, intesa come comunione d’amore nella sua pienezza.
Non so quante persone, tra quelle che leggono indie-eye, abbiano mai fatto visita a Monte Senario, sulle colline a nord di Firenze. Io ci sono tornato di recente, in pieno carnasciale estivo da pandemia, per fuggire dal caldo cittadino insieme alla mia compagna e scambiare due chiacchere con il pavone custodito tra il bosco e il sentiero appena sotto il santuario fondato dai Serviti.
Paesaggio irreale rispetto alla realtà urbana ipercinetica, mantiene un contatto con il mondo conservando da tempo immemore uno spirito connettivo importante; negli spazi annessi al complesso si ospitano conferenze, concerti e attività ormai considerate “pericolose” e “illegali” per i motivi che tutti gli operatori dello spettacolo conoscono molto bene.
Nella speranza di esserci lasciati dietro le spalle l’idea che la cultura equivalga al divertimento di un clown prezzolato per far divertire i nostri figli, Lattexplus, festival di cultura musicale digitale promosso dall’associazione Feeling, reinventa i propri eventi sostituendo le location tradizionali, con una serie di luoghi selezionati in base al valore storico-culturale e assumendo il suffisso HD. Una forma inconsueta di promozione turistica che unisce la performance con le risorse del territorio.
Nasce quindi un format audiovisivo di alta qualità chiamato Lattexplus HD, realizzato da Thomas Pizzinga e Pietro Fragola, videomaker e sperimentatori di talento che condividono il progetto Angle, legato alle nuove frontiere del video mapping. A questo proposito, Indie-eye ha dedicato spazio alla creatività di Pizzinga per il videoclip di Ninjaz Mc intitolato Showgun.
Brevissima digressione dedicata ai creatori per sottolineare la qualità visuale del prodotto “Heritage Digital“, questo il titolo della rassegna virale promossa da Lattexplus.
Il primo episodio dedicato ai Bowland, solo su youtube ha capitalizzato più di 97.000 visite, grazie al traino del combo iraniano, la cui visibilità post X-Factor è cresciuta esponenzialmente.
Immersi nei quattro ettari di bosco e giardino della fiorentina Villa Bardini, i Bowland vengono filmati per 24 minuti da sei operatori, incluso quello adibito al controllo di un drone.
La clip video, che può essere visionata da questa parte, è un suggestivo scandaglio spaziale, dove il tempo sospeso della memoria risuona con la performance live a vari livelli. Gli artisti diventano testimoni di uno svuotamento che solo la musica può riempire in termini connettivi, mentre la dimensione visual più spinta si ritrae, per lasciar spazio alle figure umane immerse in un contesto ambientale e architettonico che interroga la nostra stessa posizione nel tempo e nella Storia.
Un risultato diametralmente opposto ai brutti format fioriti come funghi in ogni dove, tra contest e interviste, che recuperano il linguaggio, defunto, della televisione anni novanta.
Curiosissimi di vedere il prossimo episodio di “Heritage Digital”, dedicato a Indian Wells, producer calabrese dal grande talento al secolo Pietro Iannuzzi, secondo alcuni “italiano per caso”, considerati il respiro e le ambizioni internazionali della sua produzione, in circolo dal 2012 con il primo album “Night Drops“. Per Indian Wells Lattexplus ha scelto proprio Monte Senario. La performance sarà filmata e trasmessa il prossimo 17 febbraio in streaming su diversi canali Facebook in modalità cross-posting.
“Monte Senario oggi è uno dei conventi più importanti situati in Toscana – hanno sottolineato gli organizzatori di Lattexplus HD – incastonato fra boschi favolosi, panorami mozzafiato e atmosfere eteree si sposa perfettamente alla proposta artistica di Indian Wells e a quelli che sono gli obiettivi del nostro progetto: il raggiungimento di un target di pubblico diversificato attraverso la contaminazione tra più forme di espressione artistica, tra cui musica, arte e architettura”.
L’appuntamento è per Mercoledì 17 febbraio ore 19 dalla Cappella dell’Apparizione del convento di Monte Senario per lo streaming video di Indian Wells.
(Le foto dell’articolo sono di Antonio Corallo, Elephant Studio – fonti e materiali, grazie a Ufficio Stampa Lorenzo Migno)
Giulio Gaietto, metà degli Zoostat, ha realizzato tutto da solo il bel video di animazione CGI per “Cancellature”, estratto dall’EP di debutto del duo genovese.
Completamente autoprodotto, mantiene un bello spirito selvaggio che ricorda in parte quell’intersezione tra arte digitale e cultura visuale del secolo precedente, che attraversava certi video di transizione della fine degli anni ottanta. Cambiano le tecnologie, più a portata di mano, ma non cambia la voglia di giocare con le forme. Ispirato alla cultura e ai maestri del surrealismo oltre che agli anime di matrice cyberpunk, ce lo siamo fatti raccontare dallo stesso Giulio.
Nel video di “Cancellature” c’è un’idea molto forte che mette in crisi il principio di identità, puoi raccontarcela?
Cancellature procede mediante una serie di metafore sulle percezioni sensoriali. Nel brano facciamo riferimento a una verità sensoriale che si basa su un’inconsapevolezza di fondo, che a sua volta, indagata, mi porta a non sapere più chi sono, uno stato che può “far male” come dice la canzone. Nel presente inoltre siamo costantemente bombardati di stimoli e questo rende la confusione ancora maggiore.
Ecco, per rendere questa idea vi siete immaginati una realtà desunta da numerose influenze, rilette attraverso un’estetica digitale. Puoi parlarcene?
In questo scenario, il mondo che abbiamo immaginato per il videoclip è un mondo surreale che ci ha permesso anche di giocare con varie citazioni. Ci sono le lampade di arancia meccanica nella stanza di “Tina”, la robot protagonista del video, o molti riferimenti a Magritte e De Chirico, per citarne alcuni consci – ce ne saranno ancora di più inconsci probabilmente! Nel video tutto ruota attorno ai punti di vista: persone con la testa a televisore che guardano la televisione che a sua volta li osserva, e tutti vengono osservati da una palla che vola, ed infine lo spettatore dall’altra parte del video che osserva tutto questo e chissà, magari nel frattempo viene osservato lui stesso!
In termini estetici quali sono state le vostre principali ispirazioni?
Riguardo l’estetica, siamo partiti dal pezzo e dalle sue venature vintage, al di là del risultato fortemente elettronico. Quindi ci siano ispirati agli anni 60 e 70, per esempio la carta da parati optical e l’occhio come tema ricorrente del video. C’è quindi un’anima surrealista, ma anche alcuni riferimenti agli anime cyberpunk. Tutto nel video è pensato per essere fonte di simboli e metafore e nella maggior parte dei casi ogni oggetto sta raccontando una piccola storia, oppure offrendo spunto a una chiave di lettura diversa del video. La cosa che volevamo ottenere è che il video fosse “multistrato” e che quindi non ci fosse un solo modo di interpretarlo.
Giulio, da dove nasce il tuo interesse per l’arte visuale e il videomaking?
Sono appassionato di arte e di film di animazione, i miei studi si fermano al diploma di maturità, nessun studio specifico. Il video è stato fatto senza alcuna esperienza precedente, ho aperto per la prima volta un programma di modellazione a novembre (blender), e mi sono appassionato, tanto che sto preparando il videoclip per il prossimo brano degli Zoostat. Anche riguardo al montaggio, sono alla mia prima esperienza. Il mio background è quello di produzione musicale, che faccio da tanti anni, ma che poco ha a che vedere con quello da videomaker. Per quanto riguarda la produzione musicale ho uno studio di registrazione a Genova, “aperto”, si fa per dire – covid permettendo – da Marzo. Si chiama Studio77.
Tecniche e tempi di realizzazione del video?
Il video è stato realizzato in 2 mesi e mezzo, compreso tutto – iniziare ad imparare il programma, modellazione, animazione e montaggio. Ho usato Blender per modellare e animare e Davinci Resolve per montare le varie scene. Per quanto riguarda la tecnica, l’unica che conosco, non avendolo mai fatto prima, credo che sia una tecnica piuttosto classica, legata alla modellazione 3d e animazione in cgi con Blender.
Andrea Chiapparino sceglie di dirigersi da solo il videoclip del suo ultimo singolo. Pubblicato per Spazio dischi lo scorso 29 Gennaio, “I muri di casa” è un piccolo video intimo, la cui onestà può essere misurata solo in relazione alla prossimità dei corpi, dei gesti e dei movimenti minimi, utili per descrivere la dimensione domestica. In questo senso, in un paese di retroguardia come l’Italia, per quanto riguarda diritti civili e sociali, è comunque un atto di coraggio immergere due corpi e due anime maschili in un contesto come questo, dove in altri paesi Europei sarebbe considerata una “narrazione” del tutto normale. Ecco che la semplicità, sicuramente necessaria e diretta, potrebbe diventare un limite su un piano più ampio. Il video non introduce quindi nessuna novità, al di là della fotografia precisa e attenta alle luci di cottonbro e forse non è l’intenzione di Chiapparino in arte Grecale, il cui scopo è veicolare al meglio liriche e senso di un brano dichiaratamente involto al sentimento della fine. Non certo una novità nel contesto musicale e creativo italiano, tra camera e cucina.