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Videoclip festival e concorsi: i migliori in Italia

I Videoclip in Italia non hanno sempre goduto della giusta considerazione al di fuori dei canali di diffusione definiti di volta in volta dal mercato. Rare eccezioni sono cresciute in seno a Festival generalisti, per lo più dedicati alla forma cortometraggio, dove il video musicale molte volte scompare o viene confuso insieme ad altre tipologie di storytelling. Oltre agli errori metodologici, l’idea che il videoclip sia troppo spesso un riempitivo oppure una strategia per capitalizzare iscrizioni, viene tristemente confermata dall’incapacità dei curatori nel definire un percorso critico forte, in grado di raccontare lo spazio di convergenza occupato dai video musicali negli ultimi vent’anni.
Non importa se il festival si occupa di rock e contaminazioni collaterali, perché nell’assenza di una curatela specifica, si assiste troppo spesso alla classica assimilazione cinema/promo, possibile solo in minima parte con il formato di cui stiamo parlando. Questione storica e anche tassonomica, che coinvolge numerosi aspetti, dalla cultura visual alle performing arts, passando attraverso il rapporto infedele con la videoarte, tra retroguardia e sorprendenti impennate anticipatorie.
Senza togliere niente alla storia popolare della videomusica, questa andrebbe ricontestualizzata e riletta attraverso nuovi linguaggi, possibilità e rimediazioni. Per questi motivi e neanche tanto paradossalmente, il festival tipico di “cinema e musica” non sempre rappresenta il luogo adatto e più accurato per accogliere una sezione dedicata ai videoclip, soprattutto dal punto di vista della piattaforma e delle possibilità di ibridazione con mondi produttivi più complessi.

Senza la presunzione di dover essere esaustivi, ma al contrario rivendicando una precisa impostazione critica, abbiamo scelto di segnalarvi alcuni contenitori, contest e festival che accolgono video musicali, solo i migliori in circolazione e quelli che soprattutto riescono a creare sinergie e possibilità, allo scopo di fornire una guida utile ai creativi che ci lavorano e che ogni giorno scommettono sulla propria pelle.

Roma Creative Contest

Ritagliato sull’esperienza di una casa di produzione romana nata nel 2007 e nota come Image Hunters, il Roma Creative Contest è un solidissimo festival dedicato alla forma breve che include la possibilità di iscrivere video musicali. La decima edizione si terrà il prossimo giugno 2021 e il bando di concorso è aperto e disponibile al momento di scrivere questo articolo, sulla piattaforma Film Freeway. Quello del Roma Creative è un contesto tradizionale legato all’organizzazione di un festival di cortometraggi, ma la capacità dello staff, tutto costituito da under 35, è quella di aver aggregato in dieci anni un clima di altissimo livello, portando dentro partner tecnici, autori, produttori e registi importanti. Se la scelta di un festival con cui tentare una carta passa anche dalla vitalità e dalle possibilità offerte dall’evento, Roma Creative Contest è certamente uno dei migliori. La presidenza onoraria, dal 2014, è affidata a Giuseppe Tornatore.

Asolo Art Film Festival

Partner regolare di indie-eye, Asolo Art è una manifestazione con 39 anni di vita alle spalle e una responsabilità enorme: mantenere il titolo, meritatissimo, di più antico e importante festival italiano dedicato alla relazione tra Cinema e arte. Da tre anni accoglie anche una sezione “Music Video”, del tuto ec-centrica e di ricerca, indirizzata solo a chi abbia sperimentato e superato la cornice convenzionale dei Video Musicali. Le intersezioni possibili sono molte e a ben vedere, sono proprio quelle che ci indicano le numerose direzioni intraprese dal videoclip negli ultimi dieci anni: performing arts, visuals, video arte, internet art, pixel art, animazione, mobile video. Contesto prestigioso e attenzione ai linguaggi ne fanno una delle manifestazioni più rilevanti anche per il formato Videoclip. La deadline per iscriversi è fissata per aprile 2021 ed è possibile farlo attraverso la piattaforma Film Freeway

Pentedattilo Film Festival

Pentedattilo è un paese “fantasma” in provincia di Reggio Calabria, luogo magico e misterioso da quattordici anni riportato in vita dallo staff del festival, uno dei più innovativi tra quelli dedicati alla forma breve. Nell’interazione tra nuovi talenti e maestri del cinema, si fa portatore di un sistema di circuitazione innovativa, legato ad una modalità di fare immagine in movimento altrimenti invisibile. Spazio apolide, votato alla relazione interculturale, sceglie location suggestive per le proiezioni, tra i resti abbandonati del paese. Tra le categorie “corte” ammesse anche quella dedicata ai “Video Musicali”. Deadline per l’edizione 2021 , il prossimo 30 giugno. Iscrizioni su piattaforma Film Freeway.

Sulmona International Film Festival

Il Sulmona International Film Festival (SIFF), naturale evoluzione di Sulmonacinema, è una manifestazione di cortometraggi giunta al 39/mo anno di vita. Con uno spirito innovativo e interculturale è probabilmente una delle vetrine più importanti per il formato corto, tra quelle presenti nel nostro paese, anche per la rete di connessioni professionali che riesce a stabilire. Tra le categorie ammesse, anche quella Music Video. Iscrizioni mediante Film Freeway. Deadline 2021, 22 Marzo.

MiMo Milano Mobile Film Festival

MiMo è uno dei festival più importanti a livello internazionale, tra quelli dedicati alle opere realizzate mediante dispositivi mobili. Le opere devono essere realizzate esclusivamente con smartphones, tablets, action camera e droni e tra le categorie ammesse c’è anche quella dedicata ai “Music Video”. Smartphones ed action camera sono dispositivi che hanno consentito di traghettare la prassi UGC, in una vera e propria filosofia creativa. Quello di MiMo è un contesto solo apparentemente circoscritto, perché consente, soprattutto adesso, di lavorare sulla scrittura con dispositivi totalmente “Stylo”. Il festival è giunto alla quarta edizione e la deadline per le iscrizioni è aperta su piattaforma Film Freeway fino al prossimo giugno

Video Hackers Film Festival

Il VHFF è un festival di Novi Ligure con cinque anni di vita alle spalle. Contenitore rigorosamente indipendente è rigoroso anche in termini di scelte e linguaggi, legati all’interazione tra multimedia arts ed esperienza soggettiva. Tra le categorie ammesse, con un approccio dichiaratamente sperimentale, anche i Video Musicali. Deadline per l’edizione 2021, il 31 marzo. Anche VHFF è presente su piattaforma Film Freeway per le iscrizioni.

Ca’ Foscari Short Film Festival

Primo festival a livello europeo ad esser gestito interamente da studenti universitari, dall’ufficio stampa fino agli aspetti tecnici e realizzativi. I ragazzi vengono guidati dall’attenta supervisione di professori di Storia Del Cinema e coadiuvati da professionisti di ambito cinematografico, a livello globale. Dedicato alla forma corta in tutte le sue declinazioni, si rivolge in particolare agli studenti di accademie, università, scuole di cinema e d’arte. Tra le categorie ammesse anche quella “Music Videos”. Attivo da 11 anni, ha una prossima deadline prevista per il 15 Febbraio 2021. Questa la pagina su Film Freeway.

Orqan – NODICKPIC, il videoclip di Marcello Rotondella in anteprima

Marcello Rotondella è un videomaker e artista visuale Novarese di stanza a Roma. Nella sua vasta e proteiforme produzione, trovano spazio anche i video musicali. Ne ha realizzati per artisti come Venerus, Jason Lamecca, Misto Mame, Zuin, Birø e altri. Per il progetto ligure Orqan, impro-music tra noise, techno, drone e dark ambient, ha realizzato il videoclip di NODICKPIC, traccia letteralmente estratta dalla sessione di improvvisazione “yellowgreen tape”, pubblicata dalla label Musica Orizzontale. La traccia coincide anche con il primo singolo estratto dal nuovo full lenght di Orqan, intitolato “Director’s Cut” uscito fresco fresco per EK4T3 Music lo scorso 2 Febbraio 2021. Il lavoro di Orqan va inoltre contestualizzato nell’ambito del più generale insieme di Musica Orizzontale, collettivo ligure teso alla ricerca di un amalgama sonoro, rarefatto, ma anche istintivo e gestuale.

La componente materica è del resto centrale del lavoro di Rotondella, tra astrazione e realismo empirico legato ai fenomeni di luce, di terra e di corpi.
Artisti come lui, che sempre più spesso trovano spazio all’interno di Indie-eye Videoclip, la prima testata in Italia ad indagare in modo sistematico e quotidiano l’evoluzione della videomusica, contribuiscono a cambiare un paradigma, pensando i videoclip come cornici aperte e possibili rispetto all’asfissia creativa che viviamo da decenni nel belpaese.
Abbiamo avvicinato questo ennesimo ed emozionante luogo di convergenza, con un’intervista a Marcello Rotondella, per il video di NODICKPIC di Orqan, che presentiamo in anteprima esclusiva.

Orqan – “Director’s cut” su Bandcamp

Marcello Rotondella su Vimeo

Come è nata la collaborazione tra Marcello Rotondella e Orqan?

Orqan: La collaborazione è nata dall’amicizia di uno dei componenti di Orqan con Marcello e dalla stima che proviamo nei suoi confronti come artista.
L’idea di realizzare un videoclip si sviluppa insieme alla presa di coscienza di voler fare un disco di brani già editi a cui dare una veste diversa: edizioni alternative, brani da completare e anche provare un formato multimediale derivato dalla nostra musica. Insomma, lavorare in maniera per noi inedita. Solitamente creiamo musica improvvisando, senza lavorare molto in fase in post-produzione, per tentare di lasciare il prodotto finale il più fedele possibile a come nasce. In “Director’s Cut” invece agiamo da registi che girano un finale alternativo e da montatori che danno un ritmo diverso alla pellicola. Da qui nasce il titolo dell’album edito dal collettivo EK4T3
Ci è subito venuto in mente Marcello quando abbiamo pensato a chi chiedere di realizzare un video, sapendo che la sua produzione è fortemente incentrata sull’astratto e spesso sull’incomunicabile e noi non comunichiamo spesso mentre suoniamo, anzi di solito non comunichiamo affatto. Dopo avergli passato tutto l’ep da cui è tratto il brano No dick pic gli abbiamo chiesto se trovasse il materiale adatto ad essere espresso in forma videoclip e abbiamo ottenuto un si come risposta.

Marcello, come hai lavorato al video. Hai deciso in fase preliminare le scelte espressive con gli Orqan?

Marcello Rotondella: Dopo avere deciso insieme il brano da utilizzare per il videoclip ho avuto la massima libertà da parte di Orqan di poter esplorare a mio piacimento forme colori luce e immagini del videoclip.

Orqan, gli avete chiesto qualcosa di specifico?

Orqan: l’unica richiesta che gli abbiamo fatto è stata che fosse completamente astratto. Non sapevamo come meglio esprimere ecome volessimo fosse il contenuto visivo.
Quando l’abbiamo visto la prima volta siamo rimasti molto colpiti dal fatto che con un’unica indicazione, che definire generica è una lusinga, fosse riuscito a superare le migliori aspettative

Marcello, puoi raccontarci mezzi, tecniche e scelte affrontate per la realizzazione?

Marcello: Il video è stato realizzato in pieno lockdown, e non avendo la possibilità di realizzare riprese in piena libertà ho deciso di utilizzare immagini di repertorio raccolte dalla memoria del mio cellulare. Da queste clip ho estratto una serie di dettagli, forme e colori che successivamente ho processato in vari modi, sia digitalmente e sia analogicamente, riprendendo indoor le stesse, ma da supporti differenti come schermi o proiezioni.

Marcello, nei tuoi video, tutti molto diversi tra di loro, ma con una forte impronta personale che li accomuna, c’è una componente materica che non consente di distinguere tra formati, tra analogico e digitale, tra post produzione e scelte ottiche. Puoi dirci, anche in questo caso, come hanno interagito tutti questi elementi, ovvero la materialità dei supporti, la forma della luce e gli interventi in post produzione?

Marcello: Di solito non ho un metodo universale per lavorare a un videoclip, ogni brano ha la propria anima e non è possibile, almeno per me, definire un modus operandi che accomuni ogni lavoro. Nel caso di “NODICKPIC” mi sono fatto guidare dal flusso magmatico del brano cercando di trovare la giusta luce ad ogni suono. Di certo la sensazione nell’ascoltarlo è stata di uno straniamento conseguente a uno strappo nel tessuto sonoro. Proprio per questo motivo ho optato per una strada distruttiva dell’immagine digitale, violandola sia con i suoi stessi mezzi, sia con la crudezza e l’ingenuità dei supporti fisici.

I tuoi videoclip anche quando sono più narrativi, hanno una forma sinestetica ben precisa. Quando non sono completamente astratti, l’astrazione emerge come elemento perturbante, quando al contrario puntano completamente verso forme astratte, emerge un radicamento agli elementi fenomenici quotidiani: luce, terra, corpi. Cosa ne pensi e cosa potresti raccontarci in questi termini del video realizzato per Orqan?

Marcello: Partendo dal presupposto che la quotidianità stessa sia perturbante, l’astrazione a questo punto diventa una via di fuga e nel caso di “NODICKPIC” ho approfondito l’immagine astratta facendomi guidare dal senso di massima libertà trasmessomi dal brano, utilizzando quasi esclusivamente riprese di luce riflessa su sostanze liquide.

La musica degli Orqan tende a mio avviso al visuale, mentre le immagini di Marcello in qualche modo hanno una qualità polifonica e musicale. Quali scambi, stimoli e sorprese avete innescato reciprocamente durante la lavorazione del video?

Orqan: non c’è stato un particolare scambio. Era un brano già pronto che non è stato adattato per la forma video e non abbiamo suggerito modifiche al risultato perché Marcello ha centrato l’obiettivo e non potevamo essere più soddisfatti.
Speriamo possa esserci uno scambio più profondo nel futuro, magari per la fruizione di uno spettacolo dal vivo quando ci verrà concesso di farlo. Il nostro immaginario astratto deriva dal fatto che tutto nasce improvvisando, senza decidere a tavolino direzioni o forme. Gli elementi visuali connessi alle uscite lo rispecchiano e collaboriamo con chi capisce e riesce a rispettare, oltre che a rappresentare il contenuto intangibile della nostra produzione.

Al Stewart – Year of The Cat, il box per il 45mo

Quarantacinque anni per “Year of The Cat”, gemma pop che sancisce il successo per la fase più commerciale di Al Stewart, il cui contributo al folk britannico è esponenzialmente meno conosciuto di quello che è indubbiamente il suo album di maggior successo. Frutto di una rimasterizzazione nuova di zecca ottenuta dai master registrati dal grande tecnico del suono Alan Parsons, viene proposto nella nuova versione 5.1 surround sound a partire dalle incisioni e dal mix sul multitraccia originale. Oltre all’album il box include un concerto registrato al Paramount Theater di Seatlle e che non è mai stato pubblicato fino ad ora.
L’album sarà distribuito in versione 3CD e in una limitata 3CD + DVD che include un booklet di 68 pagine, 4 cartoline,

Due le versioni messe a disposizione da Cherry Red, la prima costituita da tre CD, mentre una bella edizione limitata 4 dischi, oltre al materiale audio già citato, che include anche una serie di out-takes e inediti, la ristampa di un poster, interviste, approfondimenti e il quarto disco in formato DVD con il remix 5.1

L7, Wargasm è l’indispensabile cofanetto dal 1992 al 1997

Sono 3 i CD che Cherry Red Records ha dedicato alle mitiche L7, band tutta al femminile che ha incendiato gli animi durante gli anni migliori della rivoluzione grunge. Ricco di bonus tracks e splendide grafiche, “Wargasm – The Slash Yeas 1992 – 1997” include una serie di approfondimenti basati sulle interviste rilasciate dalla band.
L7 si formano a LA nel 1985 quando Suzi Gardner (chitarra, voce) e Donita Sparks (chitarra, voce) si uniscono a Jennifer Finch (basso, voce). Una band tutta al femminile in un’arena rock tradizionalmente dominata dagli uomini, spesso violentemente sessista.
Le L7 cavalcavano il momento con controverse esibizioni live diventate famose, mentre suonavano canzoni tanto ironiche quanto animate da una rabbia ferocissima.

Rock for choice” è il primo album che racconta le loro attitudini sociopolitiche e nonostante il retroterra hard rock e la scena art rock di LA, già si avvicina, per suoni e attitudini a quello che sarà l’esplosione grunge dei primi anni novanta. Mentre l’omonimo debutto viene pubblicato su “Epitaph records”, l’etichetta degli Offsrpring e dei Bad Religion, tanto per intendersi, è un album come “Smell the magic” che cementifica le radici grunge del combo femminle, non a caso pubblicato per Sub Pop, l’etichetta di Seatlle che accasava Nirvana, Soundgarden e Mudhoney, solo per citarne alcuni.
La formazione del 1990 viene completata da Dee Plakas alla batteria.
Su major, per Slash Records, ci arrivano nel 1992 con “Bricks are Heavy“, album prodotto dal grande Butch Vig, al lavoro con Nirvana, Smashing Pumpkins e Garbage. “Pretend we’re dead” è il singolo che veicola l’album e diventa un successo incredibile, a partire dall’accoglienza statunitense, seguito da altri singoli di buon successo come “Everglade” e “Monster”. Porteranno l’album in tournee al Lollapalooza, sul main stage insieme ai Nirvane e alle Hole. Nel 1994 pubblicheranno “Hungry for stink“, anticipato dal singolo “Andres”.
Dopo un cambio di formazione avvenuto lungo la lavorazione del terzo album, dove Belly’s Gail sostituirà Jennifer Finch, arriverà in quinto disco “The Beauty process: triple platinum“, pubblicato all’inizio del 1997, un cambiamento di rotta molto elogiato dalla critica e l’ultimo album tra quelli pubblicati per Slash Records. “Off the Wagon” era il singolo.
Il cofanetto Cherry Red, rispettando rigorosamente la cronologia delle release pubblicate per la Slash, include tutte le B-side dei singoli pubblicati, una serie di alternate version e numerose tracce live. Da non perdere


Pacifico – Il destino di tutti, il videoclip con i disegni di Franco Matticchio

Il videoclip de “Il destino di Tutti” è un lyrics video realizzato a partire dai disegni dell’illustratore italiano e montato con un’animazione minimale e semplificata da Andrea Rabuffetti
In parallelo, sulla pagine di Linus, la storica rivista con cui lo stesso Franco Matticchio ha collaborato per anni, saranno pubblicati i suoi disegni insieme ad un testo inedito di Pacifico. 
Nel mezzo, lo sguardo del sognatore che intravede il futuro nel passaggio dalla materia ad un’altra dimensione.
Una casa su una collina e uno stormo di rondini che la solleva. Il surrealismo di Topor addolcito da una carezza sul mondo.

Viadellironia – Figli della storia, il videoclip di Maria Mirani in anteprima esclusiva

Si intitola «Le radici sul soffitto» il primo album di Viadellironia. Realizzato nell’ambito del programma “Chi crea” con il sostegno di SIAE e MIBACT e prodotto da Cesareo, chitarrista di Elio e Le Storie Tese insieme all’etichetta Hukapan, consente alle quattro musiciste di mettere a frutto le precedenti esperienze attraverso una raccolta di dieci canzoni. Maria Mirani (voce e chitarra), Greta Frera (chitarra), Marialaura Savoldi (batteria), Giada Lembo (basso), raccontano meglio di altre e di altri lo scollamento con l’esistente, attraverso una scrittura poetica, feroce e intensissima, che supera la cornice del cantautorato, accogliendo numerose contaminazioni, dalle canzoni di lotta, al punk, passando per una personalissima rilettura della tradizione popolare.

Viadellironia – Foto di Dorothy Bhawl

Dopo il videoclip di «Ho la febbre», brano che vedeva la partecipazione di Stefano “Edda” Rampoldi, Maria Mirani torna a dirigere e a produrre personalmente il secondo videoclip estratto dall’album, per la traccia intitolata «Figli della Storia».

La Mirani, la cui formazione presso l’accademia Di Brera è di natura storico-artistica, oltre che legata all’approfondimento dei linguaggi e delle tecniche video-cinematografiche, si è occupata e si occupa di video arte e ha realizzato alcuni cortometraggi.

A lei e alle sue compagne di viaggio abbiamo chiesto di raccontarci la lavorazione di «Figli della Storia», atipico e intenso lavoro tra found footage e autoritratto, che presentiamo in anteprima esclusiva su indie-eye Videoclip.

Viadellironia – Figli della storia – Il videoclip diretto da Maria Mirani

Viadellironia, ascolta «Le radici sul soffitto»

Maria Mirani in rete

Viadellironia, Figli della Storia. Il making of del videoclip

Potete raccontarci la pre-produzione e come è stato concepito il video?

Maria Mirani: Ho lavorato io al videoclip. Questa decisione nasce da una necessità espressiva legata al primo lockdown. Progettavamo di far uscire il singolo di Figli della Storia in estate, o nella prima parte dell’autunno. Non sapevamo esattamente che tipo di produzione avrebbe incontrato il videoclip per motivi eminentemente logistici e pratici, legati alla precarietà della situazione, alle limitazioni, all’ impossibilità di spostamento. D’altra parte il particolare clima di questo brano era predisposto ad una tecnica cinematografica spuria e anti-sensazionale, privata. Ho quindi deciso di lavorare al video io stessa, chiedendo alle ragazze di fornirmi delle riprese individuali il più possibile uniformi a livello di taglio e di grana. Ho steso uno storyboard trifronte a livello di linguaggio e di natura dell’immagine, comprendente un primo metraggio di sequenze molto strette del playback di ciascuna, girate con smartphone, anche perché la povertà dei sistemi di ripresa è qualcosa con cui è necessario avere a che fare in queste situazioni. Ho poi deciso di girare delle sequenze dei nostri volti invecchiati attraverso una di quelle applicazioni comunemente utilizzate per ridere del fatto che tutti i nostri volti prima o poi saranno vecchi e cadenti. Queste sequenze in stop motion parodiano il cinema primitivo in virtù dello sguardo in camera, per esempio il famoso finale di The Great Train Robbery o certi close-up ultra espressivi di Griffith. Infine, mi sono procurata dei filmati di famiglia risalenti al 1994-1995, digitalizzati.

Viadellironia – Le Radici sul Soffitto. L’artwork dell’album realizzato dal talentuoso artista bresciano Dorothy Bhawl

Ecco, a questo proposito, i filmati di cui parli che storia contengono?

Maria Mirani: sono tutti filmati domestici girati da mio padre o da mia madre. Mi rendo conto che quanto sto per dire rappresenti un aspetto psicologico, un fattore personale e non un ingrediente impresso, per così dire, nella sostanza del videoclip; ma insomma il giardino che compare in quel footage è lo stesso che ha ospitato me e Laura, la batterista di Viadellironia, nella primavera scorsa, proprio durante il lockdown e quindi durante la lavorazione al videoclip. E’ il giardino di una casa a cui voglio molto bene, e quelle riprese risalgono a quando avevo circa un anno. Il bambino che annusa i fiori è mio fratello Francesco.

E quindi lavorare con immagini così vicine al tuo vissuto cosa ha significato?

È stato molto intenso lavorare con tali immagini esattamente in quella casa, in quel giardino. Si è creato un cortocircuito, una discronìa, che forse non concorre alla sintassi del videoclip, nella misura in cui non compaiono mai riprese odierne del giardino, ma che giace nel tema della canzone e in un certo spleen, nel senso del tempo, che si trova in alcune inquadrature e nei miei occhi. Ero molto triste in quel periodo. D’altra parte non ero nemmeno certa fosse corretto opporre l’idea di un set a un footage di 25 anni fa. Sarebbe stata una scelta piuttosto naive, in realtà, un montaggio scopertamente sentimentale, e non volevo questo. Bastava l’immagine di mio fratello che annusa i fiori a dare il senso del tempo, e bastava che sapessi io che mi trovavo esattamente in quel posto. I close-up sui nostri volti non fanno capire dove ci trovassimo.

I close-up dove li avete realizzati?

Maria Mirani: ho commissionato alle ragazze il playback di Figli della Storia selezionando alcuni tagli strettissimi dall’alto e dal basso dalla Passione di Giovanna d’Arco di Carl Dreyer. Alla fine ho preferito usare riprese quasi sempre parallele a terra. Ma quell’effetto di isolamento dallo spazio circostante e di noncuranza verso il mondo dato dal primissimo piano, che ho mutuato dalla Giovanna d’Arco, ha consentito di uniformare i nostri volti e i nostri playback, e di dare una specie di ridondanza espressiva, tipica di quel cinema. In pratica avevamo a disposizione solo le nostre facce, non siamo attrici.

Greta Frera: In realtà io ho interpretato un grande Re Giorgio in quinta liceo, che mi rese quasi celebre, ma in effetti non ci siamo mai dovute industriare a girare nulla da sole, senza figure professionali di riferimento. Eravamo divise, ciascuna a casa propria, a causa della chiusura. A parte Maria e Laura, che vivono insieme.

Maria, prima hai parlato dei vostri volti modificati e invecchiati. Puoi approfondirne il senso?

Sì, ha un significato preciso. Quei brevi frammenti di noi da vecchie funzionano come dei promemoria, o come delle allegorie. E’ come se, nel flusso serrato delle nostre facce giovani, ci fossero delle rotture, delle fughe di tempo. I nostri volti da vecchie funzionano come dei mostri, o come il personaggio della morte nella stampa di Dürer con il Cavaliere, che è giovane e ambizioso, ma che si porta dietro un vecchio con la clessidra e un mostro che lo deride. In questo senso le vedo come delle allegorie, in senso diciamo iconologico. Avevo chiesto alle ragazze di ridere, di fare smorfie. Volevo che le nostre facce vecchie sfottessero e irridessero la mia infanzia e la nostra giovinezza. Come il mostro di Dürer in quella stampa.

Ci sono alcune similitudini tra questo video e quello realizzato da Maria per “The Partisan”, la cover di Leonard Cohen che avete pubblicato l’aprile scorso

Maria Mirani: è vero, ci sono delle grandi somiglianze! In sostanza la modalità produttiva è stata la stessa, con l’aggiunta di un green screen e del template di una televisione. Ho lavorato a quel video nella stessa identica situazione di Figli della Storia. Credo proprio di avere lavorato prima a Figli della Storia. Nel video-cover di Cohen ho inserito la televisione per sottolineare la natura documentaria, da notiziario, del contenuto del footage che ho trovato su Creative Commons.

Il found footage è una forma che vi interessa? perchè?

Sì, è decisamente una tecnica che ci interessa. Mi piace il cinema che lavora con il found footage perché ha sempre un rapporto obbligato con la storia. E’ la messa in scena stessa della storia, e questa è una tecnica che trovo molto affascinante. E’ una forma di ready-made storico con cui l’autore può scegliere se interagire o meno, creando dialettiche con immagini lontane, o con la sola manipolazione del metraggio pre-esistente.
La mia attitudine viene dalla video art, e in quel contesto di comunismo delle forme la pratica del found-footage viene dispiegata spesso. Nel caso di The Partisan ho pensato all’opera di Yervant Gianikian e di Angela Ricci Lucchi, nel caso di Figli della Storia ad Alina Marazzi.

Viadellironia – foto di Dorothy Bhawl

Come è stato lavorare al video in tempi di limitazioni strettissime e ostacoli enormi per i set e i
creativi in generale?

Giada Lembo: Non potendo incontrarci ci siamo dovute arrabattare in qualche modo.
Pensavo di potermela cavare in poche ore, ma ho impiegato due giorni interi per fare quelle riprese in playback.
Ho selezionato la stanza più buia della casa e ho fissato il cellulare su un piccolo cavalletto; mi mancava solo la luce. Ho recuperato una piccola abat-jour, una di quelle senza supporto, ma ho faticato molto perché, dovendo reggerla per tutto il tempo con il braccio teso verso l’alto, sono stata costretta a fermarmi ogni due minuti perché il braccio tremava.
Maria ci inviava degli schizzi a matita su come tenere la luce per ricreare le giuste ombre sul volto. Sembrava semplice sulla carta, ma dovendomi arrangiare da sola è stato molto impegnativo.
Luce bassa, luce alta, luce obliqua; insomma, la ricerca della giusta luce ha richiesto il suo tempo.
Ho pensato all’espressività di Joan Crawford e alle suggestive, quasi tetre, inquadrature in primo piano del cinema muto. Direi che ho fallito miseramente, ma mi consola pensare che William Wellman avesse sicuramente un supporto per la luce e che la Crawford non se la tenesse da sé!

Greta Frera: Per agevolare l’espressività, Maria ci ha chiesto di truccarci. E lì è stato un dramma. Non avendolo mai fatto prima e non disponendo di attrezzature adeguate mi sono arrangiata con una matita azzurra per gli occhi. Il risultato è che tutte sono truccate a modo e io sembro il mostro verdastro della laguna.

Marialaura Savoldi: È stato un po’ difficile e a tratti divertente. Io e Maria ci siamo trovate senza attrezzatura adeguata, senza luci e senza una vera camera. Ci siamo ingegnate a creare un set di fortuna in casa, consistente in una piccola luce Ikea appesa alla finestra, e abbiamo affidato la ripresa alla camera del cellulare. Il computer mandava in loop il brano e io e Maria abbiamo ripreso il playback.

Cristallo – Dei due, il videoclip di Agustin Cornejo

Agustin Cornejo, classe 1996, lo abbiamo conosciuto grazie al progetto musicale Sinedades, condiviso con Erika Boschi e legato ad una declinazione davvero originale del mondo sonoro latino. Oltre all’attività come musicista e chitarrista, Agustin è anche un videomaker e gestisce lo studio Artevideomaking attraverso il quale realizza video session, video di documentazione per eventi e teatro, oltre ovviamente a video musicali.
La sua videografia come regista di videoclip è ancora ridotta e si riferisce a tutti quelli ufficiali per i suoi Sinedades e ad un video realizzato per la promozione del lavoro di Lucio Leoni.

Si è aggiunto, da un giorno esatto, il nuovo videoclip realizzato per Cristallo, il bel progetto pop di Francesca Pizzo di cui abbiamo parlato approfonditamente con un podcast audio disponibile su indie-eye da questa parte.

La clip di “Dei Due” è relativa all’omonima traccia, tratta dall’EP “Piano B” pubblicato da Black Candy, cinque tracce che raccontano il momento che stiamo vivendo, analizzando “il confronto con l’altro, le relazioni e il concetto di prossimità, oltre al binomio presenza/assenza” .

Il video, realizzato e montato dallo stesso Cornejo, è stato interamente girato al GRS Studio di Firenze ed è un bell’esempio combinatorio che dialoga con più storie della videomusica, scardinando la retorica dei video in studio, ma allo stesso tempo recuperando un’aura glam che si riferisce in modo preciso agli anni settanta, inclusa l’elegante mìse, leggermente space-age, indossata da Cristallo.
Tutta la clip, grazie ad un effetto che sfalsa la percezione RGB, separandone gli elementi sullo stile delle varie “RGB Chromatic Aberration”, lavora sul doppio, creando un’immagine allo specchio che potrebbe appartenere ad una vecchia VHS corrotta, al segnale difettoso di un broadcast via etere, oppure ad una copia lavoro di una trentina d’anni fa, come suggerisce il timecode lasciato in sovrimpressione per tutta la durata del video.
Il risultato in termini visuali è a tratti sorprendente e crea insieme al corpo e alla performance di Cristallo un vero e proprio fantasma della sua stessa immagine.
Per quanto i video in studio siano quasi sempre legati ad uno spirito del tutto funzionale alla promozione, qui siamo di fronte a qualcosa di diverso, che utilizza la forma visuale e l’elaborazione delle immagini come riflesso indiretto delle liriche di Francesca Pizzo.
Da una parte quella centralità della performer che gioca con i promo televisivi degli anni settanta, dall’altra un’aberrazione visuale che stacca quel ricordo dall’obbligo della ricostruzione filologica, per farne una riflessione concettuale sul nostro “doppio” modo di abitare le immagini.

Artevideomaking su Instagram
Ascolta “Piano B” di Cristallo

Mancha – Solo Quando voglio, il video di Bruno Nogarotto

Bruno Nogarotto, videomaker, ha davvero talento. L’ultimo videoclip realizzato in ordine di tempo dal regista attivo tra Bologna e Milano è quello di “Solo Quando Voglio” per Mancha, ma prima di questo sono numerosi i lavori prodotti per il contesto street, (t)rap e derivati, oltre alle produzioni bilanciate tra advertising e videomaking e diffuse per ESSE MAGAZINE. Rispetto ai video diretti per Nino_nino, Noga, Biondo, solo per citare alcune delle sue collaborazioni, “Solo quando Voglio” fonde il dinamismo della strada con le ambientazioni più intime e introspettive, chiudendo tutto dentro a spazi chiusi, tra set e location quotidiane.
Questo gli permette di recuperare una certa estetica anni novanta legata per lo più ai video del contesto crossover. Il risultato è una bella sintesi tra forma e colore, uso espressivo dello spazio e potenza dinamica dell’inquadratura.

Bruno Nogarotto su Facebook

Egestas – Trafficanti di Ombre, il videoclip di Luciano Attinà e l’intervista

Luciano Attinà è un videomaker indipendente laureatosi al DAMS con una specializzazione in Tecniche di produzione audio-video alla scuola APM di Saluzzo. Oltre a numerosi lavori come montatore e direttore della fotografia nella produzione documentaristica in produzioni RAI, è tra gli autori di Punk@Bo. Cieli Oscuri Autoproduzioni è un marchio e una sigla sotto la quale produce audiovisivi legati alla musica, alla documentazione di concerti e anche ai videoclip.

Uno di questi è “Trafficanti di Ombre” realizzato per la band Egestas, combo bolognese a metà tra hardcore, Black Metal, sperimentazione e psichedelia.
Le intenzioni di Attinà, ovvero quelle di allontanarsi dall’estetica e dai linguaggi dominanti, trova conferma in questa clip di 11 minuti, che nell’adesione al minutaggio del pezzo, rappresenta un esperimento atipico nell’ambito del videoclip, almeno quello inteso in termini più normativi.

Se per Attinà, come ha spesso dichiarato, i suoi lavori vanno intesi come veri e propri “video-oggetti”, opere insomma combinatorie che mettano insieme l’immaginario pop dei fumetti, il cosiddetto cinema del reale con suggestioni legate alla storia del cinema, “Trafficanti di Ombre” risponde perfettamente a questi criteri, mettendo insieme lo spirito del cinema di poesia con gli aspetti più “cinetici” del racconto di genere non riconciliato, quello che fonde sistemi narrativi eterogenei, dal mito al fumetto.

Il video Trafficanti di ombre – ci ha detto Attinà – nasce dall’incontro fra i miei precedenti esperimenti sul tema delle migrazioni e la musica degli Egestas, band blackened post hardcore che ho avuto la fortuna di conoscere e poter seguire sin dalla sua nascita

Una lavorazione piuttosto lunga che abbiamo discusso insieme ad Attinà


Ci racconti la lavorazione del video e gli obiettivi estetici che ti eri prefissato?

Negli ultimi anni ho accumulato molte ore di girato; il materiale segue due linee tematiche.
La prima traccia un parallelo fra la figura del migrante africano moderno e i viaggiatori del mito classico. Figure eroiche come Ulisse, Perseo o anche, in senso lato, Icaro, che tentano di superare i confini fisici imposti loro dal fato, nella speranza di accrescere la propria conoscenza della realtà, di guadagnare la libertà o di cambiare l’assetto del proprio mondo. Da qui il tema dello scontro con l’eventualità del fallimento, rappresentata nel video dalla statua di Igor Mitoraj (Icaro caduto) e dal pugile caucasico, immagine di un Occidente per niente accogliente. La seconda invece costruisce, per metonimia, la geografia delle rovine umane e culturali proprie di questo Occidente.

In che senso?

Si tratta di un Occidente ridotto a una selezione di spazi naturali invasi dal dissesto edilizio voluto da un capitalismo sfrenato. Da questi luoghi emergono inoltre le vestigia di una cultura che si voleva culla di civiltà, ma che sembra aver lasciato oramai spazio solo a ideologie reazionarie, le cui conseguenze sociali, i migranti devono affrontare quotidianamente – rappresentate metaforicamente dai cadaveri mummificati.

Con gli Egestas come hai discusso queste suggestioni?

Quando gli Egestas mi hanno proposto di fare un video per Trafficanti di ombre, ho ascoltato la canzone facendo attenzione al testo e mi sono ritrovato, quasi automaticamente, a richiamare alla memoria tutte quelle immagini, in un’architettura visiva dai ritmi ora imponenti, ora ipercinetici.

In qualche modo hai quindi unito il tuo lavoro di ricerca, cominciato precedentemente, con le suggestioni che “Trafficanti di Ombre” ti suggeriva….

Esattamente. Una serie di spunti e idee sembrano aver trovato la loro giusta collocazione in un video, che attraverso le astrazioni dell’immagine registrata, vuole restituire giustizia, per quello che è concesso fare a un “videoggetto”, alla forza di tutti coloro i quali sanno che «rinunciare a combattere è rinunciare a vivere», come ben sintetizzato dall’incipit del video voluto dagli Egestas.

Inca Misha – Il Duomo di New York: il videoclip e l’intervista

Il grado zero della musica e il sentimentalismo, oltre alla dominante mancanza di serotonina con pretese intellettuali.
Sono i due poli opposti a cui gli Inca Misha si riferiscono, il primo per rifondare un’idea di musica che neghi valori, etichette e canoni estetici indirizzati. Il secondo per rivelare l’aura reale che si cela dietro i progetti più gettonati: il cattivo gusto.
Simone Vassallo, voce e percussioni, Niccolò Giordano, tastiere, grancassa e voce, Cesar José Villeda Herrera, tromba e voce ed infine Stefania Gontero, in arte Karmyne, gesti, corpo, cubo hanno pubblicato Enjambement lo scorso dicembre dopo un buon numero di EP, e il disco sulla lunga distanza del 2018, intitolato “The Incredible Sound of Inca misha”.
Si definiscono “Band di cantautorato situazionista” e propongono un metissage incongruo e stimolante di generi, tra l’operetta, la trap acustica, Buscaglione e persino Bach, il Billionaire e Broadway.
Per veicolare l’album, il videoclip de “Il Duomo di New York“, realizzato dallo stesso Vassallo a cui abbiamo fatto alcune domande, per saperne di più.

Enjambement” si acquista in CD oppure in digitale dalla pagina bandcamp di Inca Misha

Inca Misha – Il duomo di New York – Making of (Intervista a Simone Vassallo)

Dove avete girato il video e con quali mezzi?

Il video è stato girato in casa in maniera molto povera ed artigianale con un grosso telo verde, tre luci a led e una 5D con un grandangolo, un bravo cameraman e noi quattro come
attori / assistenti / truccatori / costumisti / registi / autori…

Come avete lavorato con green screen e post produzione. Metodi, idee, materiali e spunti…

Col green screen e con le luci ci siamo dovuti arrangiare alla meno peggio, ma questo per noi non costituiva un problema, visto il risultato sporco che comunque volevamo ottenere. Il grosso del lavoro sono state la pre e la post-produzione. Siamo partiti da uno storyboard molto dettagliato in cui ho disegnato tutti i quadri, e da lì abbiamo estratto le scene ed i costumi. Con quei fogli in mano è stato rapido ed efficiente girare il tutto, ed altrettanto rapido fare la prima fase di montaggio, avendo così pochissime immagini di scarto.
Anche la nostra filosofia del “buona la prima” (che vale anche per i dischi) ha aiutato a girare tutto in poche ore, lasciando anche un po’ di tempo all’improvvisazione. Per quanto riguarda le immagini di fondo, Youtube è stata pressoché l’unica fonte di approvvigionamento: si trova qualunque soggetto ti possa venire in mente già predisposto per il green screen e libero da copyright. A quel punto l’unico limite alla fantasia è stato posto dalla RAM del computer!

Come avete lavorato in regime di limitazione?

Non ci è cambiato molto. La difficoltà, se mai ci avessero fermato, sarebbe stata spiegare alle forze dell’ordine che quello fa parte del nostro lavoro!

Il video ha un gusto molto vicino a certe cose degli anni ottanta della cultura rap e street. Penso ad un classico come Buffalo Stance di Neneh Cherry. Vi siete ispirati a quell’immaginario?

Quell’immaginario lo abbiamo negli occhi e nel cuore, essendo noi figli degli anni ’80, in particolare la splendida Neneh, ma le vere ispirazioni sono state altre: gli Inca Misha sono dei cultori e dei ricercatori incalliti nel campo del cattivo gusto e della genialità che alcune delle sue declinazioni regionali racchiudono. Le vere fonti di ispirazione in definitiva sono ad esempio i video romanì della Viper Production, quelli degli ugandesi Fac Alliance ma soprattutto la sconvolgente combo che Delphin, La Tigresa del Oriente e Wendy Sulca hanno messo in piedi per mandare un messaggio d’amore dal Perù a Israele alla vista
di quel video abbiamo provato tanta invidia, e ci siamo detti dobbiamo farlo anche noi!
Per quanto riguarda invece la scelta dei colori saturi, che poi è quello che avvicina il video de Il Duomo di New York all’estetica degli anni ’80, è una scelta che ci è sempre appartenuta e che abbiamo già praticato con il video di Chicharrita Bum! Bum! Bum!

Questo interesse specifico per i colori da dove viene?

Ho sempre pensato che la nostra società non abbia un buon rapporto con i colori e si senta quasi minacciata dall’accostamento disarmonico, per il nostro occhio, di colori forti, e che questo gusto non appartenga assolutamente alle culture a cui abbiamo fatto riferimento: zingara, peruviana o guineiana che sia. Quindi si può dire che l’eccessiva saturazione non sia tanto una scelta legata alla moda, quanto una riappropriazione degli eccessi cromatici e una rivendicazione del nostro diritto ad usare i colori come più ci piace, ricordandoci come la loro natura energetica ci possa trasmettere – in questo caso – allegria ed energia. Se ci si pensa, tutte le correnti POPolari di rottura, nel momento in cui volevano sconvolgere i benpensanti erano molto colorate: dai figli dei fiori, ai punk, fino all’hip hop e via dicendo.

Il risultato è volutamente molto sporco e impreciso. Mi piace molto, perché sembra
recuperare alcuni aspetti della pixel e della internet art. è un riferimento voluto?

Il riferimento è voluto e inevitabile. Ci è sempre piaciuto unire al gusto retrò quello più futuristico, e lo “scarabocchio digitale” ha sempre avuto un ruolo nelle nostre grafiche, pur non abusandone per non apparire troppo modaioli. Ci attraggono e sentiamo affini molte espressioni della internet art, come più o meno tutte quelle correnti che disdegnano la grazia, in questo caso a favore del kitch, per arrivare a costruire nuove idee di armonia. E poi anche noi innalziamo l’errore, ovvero quello che nell’internet art è il glitch o l’errore di sistema, a “oggetto d’arte”, sia in musica che in video, e spesso lo prendiamo proprio come punto di partenza su cui costruire tutto il resto. E poi l’internet art può fungere anche da alibi per l’imprecisione e la pixelatura!!! Altro riferimento sia estetico che tecnico è stato il collage che, col riuso e la decontestualizzazione delle immagini, è diventato uno degli strumenti principi per la realizzazione di quadretti surreali, animati o meno.

Realizzerai altri video per Inca Misha o per altri progetti?

Con gli Inca Misha stiamo pensando di realizzare un altro video, ma soprattutto abbiamo in cantiere da anni un mediometraggio, che dovremmo cercare solo il tempo ed il coraggio di approcciare. È lì scritto, potremmo dire Coming Soon!, speriamo! Poi io ho tanti altri progetti musicali, ed è probabile che a breve mi metta a lavorare al video del primo singolo di un progetto a due batterie elettrificate: Lampredonto, dal nome del Megazord formato da Lampreda + Tonto, il cui primo lavoro verrà a breve pubblicato da UR suoni.