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Manuel Agnelli dal vivo a Sesto Fiorentino, 1 settembre 2023: le anticipazioni del live

Il grande concerto della Liberazione di Sesto Fiorentino che ogni anno trasforma Piazza Vittorio Veneto in una venue di tutto rispetto, ospiterà il prossimo 1 settembre Manuel Agnelli.

Ad un anno esatto di distanza da “Ama il prossimo tuo come te stesso“, primo album solista per il musicista e produttore milanese, il tour estivo 2023 si avvia verso la conclusione.
Insieme a lui sul palco, una band collaudatissima che comprende Frankie e DD dei Little Pieces of Marmalade, una delle rivelazioni di X Factor 2020, inseriti quell’anno nella scuderia dello stesso Agnelli; Beatrice Antolini, autrice, polistrumentista e produttrice tra le più promettenti in Italia, con all’attivo sei album in studio e una poderosa esperienza da turnista con artisti come Angela Baraldi, Emis Killa e dal 2018 nella live band di Vasco Rossi; ed infine Giacomo Rossetti, bassista toscano già con i Negrita.

Il live sfrutta le tracce dell’ultimo lavoro di Agnelli come traino narrativo per un’amplissima apertura verso il repertorio degli Afterhours. La setlist include brani come Veleno, Non si esce vivi dagli anni 80, Quello che non c’è, Bunjee Jumping, Padania, Ballata per la mia piccola Jena, Male di Miele, Non è per sempre, Bye Bye Bombay, Voglio una pelle splendida, 1.9.9.6., Dea, Lasciami leccare l’adrenalina, Germi e Ci sono molti modi.

Nella setlist c’è spazio anche per una cover dei Joy Division tratta da Unknown Pleasures, quella New Dawn Fades, che nel bene e nel male, rappresenta la disperata ricerca verso la trasformazione e che in una data di Luglio Agnelli ha dedicato a Gabriele Ceci, detto «Cecio», batterista dei Massimo Volume fino al 1998, recentemente scomparso a soli 53 anni per un incidente stradale.

Tra il 2022 e il 2023 Manuel Agnelli ha lambito i confini di altri ambiti, a partire dal Davide Di Donatello per la miglior canzone, ottenuto con “La profondità degli abissi”, brano contenuto nella colonna sonora del Diabolik dei Manetti Bros. composta da Pivio & Aldo De Scalzi, fino alla versione italiana del Lazarus di David Bowie ed Enda Walsh, messa in scena anche al Piccolo di Milano.

Tre i videoclip usciti per veicolare “Ama il prossimo tuo come te stesso”, tutti pubblicati l’anno scorso, tra questi “Signorina Mani Avanti” diretto da Donato Sansone, uno degli artisti visuali più interessanti del nostro paese.

Coadiuvato da Giorgio Testi, Sansone trasforma Agnelli in una vera e propria tela, per mettere in atto un processo metamorfico capace di far da ponte tra organico e digitale, centralità fisica del performer e incessante ri-mediazione del corpo. L’innesto grafico, inteso come vera e propria interferenza, immagina nuovi processi biologici e nuove possessioni cognitive. Non è una questione eminentemente tecnica, perché rivela la nostra relazione con i dispositivi e l’immaginario che hanno prodotto negli ultimi due decenni. Oltre al livello concettuale e simbolico, c’è un’energia che attraversa tutto il video e che sembra alludere, insieme alla qualità sonora del brano di Agnelli, alle modalità con cui l’elettricità compone e costituisce materia e anti-materia. Un principio caro a David Lynch, per chi lo conosce a fondo e che sembra aprirsi alla rivoluzione dell’ingegneria neuromorfica e ai modi in cui le nostre identità potrebbero evolversi o incagliarsi. (Michele Faggi)

/handlogic – Esseri umani perfetti: il Podcast con Lorenzo Pellegrini

Dopo la consacrazione al Rock Contest Fiorentino 2016, gli /handlogic hanno intrapreso un percorso che ha reso molto più solide le già ottime premesse degli esordi. Il loro pop, sospeso tra suoni organici e rielaborazioni elettroniche, è attualmente una delle cose più belle e convincenti in circolazione nel panorama discografico italiano.

Il nuovo album, “Esseri Umani perfetti“, pubblicato il giugno scorso per Pioggia Rossa Dischi, è il primo cantato in italiano dal combo guidato da Lorenzo Pellegrini. Una scelta che a nostro avviso sposta più in alto l’asticella della qualità, perché individua un dialogo vivo tra liriche e suoni.
Più fisico e istintivo rispetto ai lavori precedenti, è attraversato da una vibrante anima soul che trasforma i brani in veri e propri anthem laici e contemporanei, completamente ripuliti dalla retorica che certa musica ascensionale porta con se.

Alcune delle canzoni del nuovo album, in particolare Libera, Benda e Sipario, non sfigurerebbero in un set di Chet Faker, per capacità di emozionare e coinvolgere, ma anche per un controllo specifico dei dispositivi. “Esseri umani perfetti” è infatti costituito da suoni elettrici, una potentissima sezione ritmica affidata ai gemelli Alessandro e Daniele Cianferoni, le tastiere di Leonard Blanche e Miriam Fornari e tutte le manipolazioni rumoristiche, i glitch e le improvvise distorsioni percettive che i brani subiscono durante il percorso.
Lorenzo Pellegrini, voce e chitarra, è anche un produttore per altri e recentemente ha lavorato con intensità al nuovo lavoro di Naomi Berrill.

Per “Esseri umani perfetti” l’architettura sonora è opera delle sue alchimie in consolle, sviluppate grazie all’ausilio di Ableton, il noto software tedesco che ha cambiato il volto delle produzioni coeve per duttilità e capacità di manipolazione dei suoni e degli strumenti organici.

Per entrare nel vivo della produzione, del significato e dei suoni dell’album, abbiamo intervistato Lorenzo Pellegrini con un numero della nuova serie di indie-eye Podcast. diffusa esclusivamente su spotify

Insieme all’intervista, incorporata qui sotto, sarà possibile ascoltare una selezione dei brani di “Esseri Umani Perfetti”. Per gli account standard gratuiti, l’intervista è disponibile integralmente, ma l’ascolto dei brani è limitato a soli 30 secondi. L’ascolto integrale dei brani insieme all’intervista è invece destinato a tutti gli account premium.

I brani si possono sentire solo con l’app ufficiale di Spotify e non sono ascoltabili attraverso il player incorporato in questo articolo.

Il link permanente all’episodio è questo: /handlogic, Esseri Umani perfetti, l’intervista a Lorenzo Pellegrini (Podcast)

Buon ascolto

⁄handlogic sono:
Lorenzo Pellegrini – voce e chitarra
Alessandro Cianferoni – basso
Daniele Cianferoni – batteria
Miriam Fornari – tastiere, voce (dal 2022)
Leonard Blanche – tastiere, synth (fino al 2022)

La foto della band è di Agnese Zingaretti
Foto e materiali: Ufficio stampa Lorenzo Migno)

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Sinéad O’Connor, l’invettiva o la preghiera? La versione Zen di All Apologies 

Tra i necrologi triturati nello spazio ubiquo dei social dopo la notizia della morte di Sinéad O’Connor, ci ha colpito quello scritto da Beth Orton. Al centro il martirologio anche mediatico che l’artista irlandese ha subito in tutti questi anni, fino a minarne la salute. “Era un’artista nella forma più alta e più retta – scrive Beth – Non c’è una classifica per orientarsi tra le canzoni che vengono dall’anima. L’innesto più difficile non è imparare i versi, ma viverli. Sinead O’Connor era una veggente ed era sottilissima, trasparente, avrebbe dovuto essere trattata con il massimo dell’amore, della cura e del rispetto.”

In calce un frase che Sinéad aveva riportato appena un anno fa, nell’area commenti del suo profilo mantenuto sul New York Times: “Essere ben adattati ad una società profondamente malata non è misura di una buona salute“.

La frase in realtà non è sua, ma uno degli aforismi più noti di Jiddu Krishnamurti la cui espressione è parte di una riflessione più ampia, contenuta nel terzo volume dei Commentari Sulla Vita. Quel potenziale estratto è stato rimodellato, trascritto e trasferito da numerosi artisti e pensatori attraverso altrettante appropriazioni. Se quindi l’attribuzione ha una provenienza difficile da stabilire, soprattutto da quando la citazione è diventata un vero e proprio meme, il pensiero del mistico apolide è riconoscibile nella descrizione di un rapporto mai riconciliato tra società e individuo, laddove la linea tra integrazione e follia mostra confini incerti e il disadattamento è uno stato della coscienza codificato dalla prospettiva di una società corrotta.

Il dibattersi di Sinéad nell’arena giustizialista dei media, l’ha immolata nel perimetro definito dall’invettiva. Gesti che hanno disegnato un rituale quasi apotropaico, scagliato contro la società dello spettacolo, del tutto eccedenti rispetto alla quadratura catodica e rilanciati con vita propria nella successiva frammentazione digitale.

L’invettiva è un’espressione oratoria connaturata alla rabbia che non è raro trovare nelle liriche della sua discografia, attraverso fulminanti trasfigurazioni poetiche. Questa crea una dialettica anti apologetica che reagisce in modo attivo rispetto alle ipostasi che le sono state affibbiate e che includono numerose gradazioni dell’essere, dal terrorismo alla santità.

Dove sia Sinéad, tra Marie Bernadette e Shuhada’ Davitt, è possibile scoprirlo solo su una parallasse, dove il corpo e il gesto sollecitano associazioni, anche iconologiche, ficcanti quanto arbitrarie e probabilmente generate dalle nostre personali ossessioni.

All’interno di Universal Mother, il quarto album della musicista irlandese uscito nel 1994, emerge una versione di All Apologies dei Nirvana, pubblicata alcuni mesi dopo la morte di Kurt Cobain. Un’operazione che avrebbe potuto essere stridente e controversa, ma che al contrario rivela le capacità di riscrittura di O’Connor, nel produrre senso attraverso la modulazione vocale.
Scarnificando il significato letterale delle liriche con l’incedere di una nenia infantile, la sua versione del brano di Cobain spazza via anche tutta la porno-letteratura critica esercitata dal tavolo autoptico.

Poco importa che la nuda lettera sembri adattarsi alle biografie di Kurt e Sinéad, più interessante che all’interno di un disco lacerante che si allontana dalla traccia matrilineare più intima per costruirne un’altra possibile in comunione con il mondo, la prassi ciclica del perdono si liberi in un colpo solo dell’invettiva come arma di difesa e della preghiera come strumento di sottomissione.

Nel videoclip del brano tutto parte e finisce nell’occhio di un bimbo; un dialogo con la parte irriducibile di Cobain certamente, ma anche un’oscillazione di genere che a un certo punto dissolve i contorni dell’immagine nella sfocatura da cui emergono i colori, le forme e le necessità dell’Io.

All in all is all we are

The Lemon Cult – “Il Fait Chaud”: il video tra IA e action painting di Luc Rëso Janin

Luc Rëso Janin non ha mai messo da parte le sue origini come street artist e anche quando ha trasposto la sua cultura visuale sul piano delle nuove tecnologie, ha spesso inseguito la luce degli acrilici attraverso motion graphics e altre interfacce.
Tra documentazione (Fatboy Slim & Gregor Salto) e performance (Stereophonics), l’esplosione e la combinazione dei colori che invadono l’inquadratura è una costante nel lavoro del regista nato e cresciuto nella suburbia parigina.

Il nuovo video girato per The Lemon Cult con la featuring di Brémond sembra una rilettura di quello realizzato quattro anni fa per Yannick Noah.

In Viens la realtà muta a vista d’occhio grazie ad alla performance action painting che coinvolge una serie di performer. La realtà cambia e acquisisce connotazioni visuali attraverso le astrazioni pittoriche che invadono lo sguardo e favoriscono rapporti immediati tra movimento, colori e suoni. Il mondo è i corpi sono, letteralmente, una tela infinita. L’innesto colorimetrico aumenta ed espande le possibilità di percepirlo e di viverlo insieme ad una comunità estesa.

Il fait Chaud è stato realizzato utilizzando applicazioni di Intelligenza artificiale generativa, con una strategia tanto semplice quanto sorprendente. Al volo, sulla performance di Brémond, cambiano le applicazioni, i risultati e la re-intrerpretazione del reale da parte dell’IA.

Rëso Janin mantiene quindi una qualità empirica e laboratoriale, ma soprattutto improvvisativa. Cambiano i mezzi, ma non il metodo, perché la relazione tra l’azione performativa e la libertà dei mondi creati, è la stessa che uno street artist stabilisce con lo spazio urbano, modellandolo nuovamente e aprendolo ad altre possibilità esperienziali.

La realtà generata e aumentata dall’IA, bilancia la sua autosufficienza con un intervento diretto e ludico dell’artista, il cui interesse è disseminare impressioni, creando un mondo fortunatamente diverso da una scansione alfanumerica del reale.

Rispetto a quelle relazioni tra coscienza e mondo che lo studio delle IA sottende, il regista francese mantiene una relazione materica con lo strumento e lo trasforma in un ponte tra virtuale e reale, perfettamente immerso tra i due mondi. Nel farlo non cede all’equivoco di buona parte dei videoclip realizzati con tecnologie IA Deep Learning, che cercano di ricostruire mondi narrativi tradizionali, puntando semplicemente all’innesto di scenari impossibili. Luc Rëso Janin mantiene una qualità fortemente performativa, cuore della sua arte, ma anche fil rouge dei video musicali che suonano le immagini, senza preoccuparsi di raccontar storie.

Legss – Daddy There’s Sand In The Sandwiches: il video di The Reids

Dei fratelli Will & Ed Reid purtroppo si parla poco in Italia, fatta eccezione per uno degli ultimi di una quindicina di videoclip che i geniali fratelli britannici hanno realizzato nella loro concentrata carriera, con costanza e coerenza davvero notevoli.

Rispetto al video psicotropo per Masa Masa, è più peculiare la collaborazione con i londinesi Legss, il cui post-noise chitarristico ispira ai nostri un cinetismo estremo, ma anche scelte specifiche come la fusione tra nuovi dispositivi e un bianconero di derivazione espressionista.

Dei quattro lavori realizzati per loro, “On Killing a Swan Blues” è sicuramente il più estremo, mentre il recentissimo “Daddy There’s Sand In The Sandwiches” amplia il respiro in termini narrativi e incorpora la sperimentazione dentro i margini stessi dell’inquadratura, senza indugiare sui contrasti tra formati e dispositivi.

Più classico e pittorico quindi, con gli interni girati dentro un velivolo VC-10 conservato al Brooklands Museum e gli esterni su una spiaggia. Bassissimo budget, sei mesi di lavorazione e una collaborazione condivisa con la stessa band, che ha contribuito a gestire il set e creare il sound design, aspetto peculiare del video.
L’aereo, rimesso in volo con i VFX dall’artista Mike Raymond, ha contribuito ad un risultato che vive delle intuizioni ottiche del cinema degli anni sessanta, tra modellini in scala e illusioni prospettiche, riletto attraverso le nuove tecnologie.

Su liriche che descrivono il continuo oscillare tra desiderio, libertà e gli ostacoli che si frappongono ad una piena realizzazione, The Reids concepiscono un video fisicissimo, in linea con la tensione drammatica degli armonici, trasformando l’esperienza di volo in un rollercoaster emotivo che procede insieme all’evoluzione della musica. Sinestesie che non sono nuove, anzi, ma che i nostri riescono a giocarsi fino in fondo, assecondando la qualità cinematica del brano e giocando con alcune immagini, tra cui la strumentazione di controllo dell’aereo, per creare un parallelo strettissimo con feedback, saturazioni chitarristiche e noise. Da Mick Rock in poi, una strada non sempre battuta con questa intensità.

La dimensione emotiva della musica dei Legss attraversa una narrazione che non chiarisce mai il limite tra memoria e realtà, ricordo e coesistenza. Ciò che conta è la traduzione della musica in punto di vista.

In questa tragedia osservata dall’interno, dall’alto e dal basso, c’è tutto il senso di esistenze relative e infinitamente piccole, rispetto alla forza dirompente dell’inaspettato.

Lol Tolhurst, Budgie, Jacknife Lee – “Los Angeles” (Feat. James Murphy): il video di John Liwag

Il filippino attivo negli states John Liwag è un visual artist che ha realizzato una pletora di set video concepiti per eventi live e altre forme visual brevi, collaborando con numerosi artisti di altissimo rilievo. I suoi videoclip in senso più stretto, sono ridotti ad un numero circoscritto e sintetizzano la sua ossessione per l’innesto digitale nella street culture.

Non differisce il clip realizzato per la nuova band che mette insieme due batteristi storici del post-punk come Lol Tolhurst (The Cure) e Budgie (Siouxsie & The Banshees, Creatures) con il produttore Jacknife Lee, molto attivo per i primi quindici anni del nuovo millennio in uno spazio di confine tra mainstream e forme alternative già codificate alla fine del secolo precedente.

Los Angeles, con la featuring di James Murphy, è un assaggio dell’omonimo album in uscita il prossimo settembre, il cui parterre di ospiti si preannuncia ricchissimo. Tra le collaborazioni illustri si parla di The Edge (U2), Isaac Brock (Modest Mouse), Bobby Gillespie (Primal Scream), Mark Bowen (IDLES), Lonnie Holley e Mary Lattimore.

La title track imposta il tono di un racconto urbano che insieme all’album definirà un ritratto oscuro e crudele della città degli angeli.

Nel suo incedere industrial, contaminato da inserti jazzistici che ricordano lo shuffle di The Top, Murphy macina immagini cannibaliche, molto vicine all’immaginario di LCD Soundsystem: “Los Angeles eats its babies! Los Angeles eats its young! Los Angeles, you don’t need water! Los Angeles just needs guns!

Murphy è assente dal video, mentre il lip sync è affidato a Jacknife Lee, che mima l’iconografia di Robert Smith appiccicato ad un obiettivo, movimento delle mani incluso.

In un open space occupato da skaters, la città tutt’intorno sembra spingere la quotidianità della gioventù in un’area desolata. L’aria di festa e celebrazione viene disinnescata da un gruppo di cheerleaders abbandonate sugli scalini oppure intente a definire un residuo coreografico in mezzo al vuoto cittadino.

Più degli inserti fotografici, delle immagini saturatissime dedicate ai musicisti e di un bianco e nero funereo, è proprio l’organizzazione del punto di vista a definire la qualità visual del video.

Le sequenze degli skaters sono infatti motivi ripetuti e reiterati come pattern visuali, dove Liwag cerca il contrasto tra corpo e sfondo, movimento e geometria delle linee architettoniche.

Prevale un punto di vista statico e frontale di qualità grafica, che fa il paio con altri video realizzati da Liwag, per esempio quelli per i Phantoms, dove viene descritta la stessa relazione tra corpi e spazio urbano.

Rispetto alle sollecitazioni delle liriche è stata fatta una scelta più ellittica, concettuale e per certi versi, più algida, se si pensa alla performance ferale di Murphy, la cui voce stride come quella di un gatto ferito.


Paul Kalkbrenner. Il reale digitale di Jovan Todorovic: il video di Schwer

Esattamente come le strategie di composizione di certa musica elettronica, il lavoro di Jovan Todorovic sull’immagine di Schwer si basa sulle varianti di ciclo. L’iterazione di un loop sembra garantire solidità al piano visivo, quando all’interno della composizione subentrano delle aberrazioni che complicano la nostra percezione dei corpi situati nello spazio.

Il punto di vista introdotto all’inizio del clip è quello delle città sorvegliate da un occhio disincarnato, ovvero il massimo della presenza tecnologica in “tempo reale”. Todorovic, artista che ha sviluppato uno sguardo peculiare sullo spazio urbano, veicolato dalla produzione berlinese BWGTBLD GmbH, popola alcuni ambienti della capitale tedesca con figure ottenute dalla cattura volumetrica in 4D, un tipo di scansione che consente di ridefinire l’immagine a 360 gradi di corpi, oggetti, animali e persino ambienti.

Ciò che cambia, rispetto al punto di vista fisso della tecnologia 3D precedente, è quello che viene definito come Viewpoint Free Media, dove tutto può cambiare e muoversi. Nello specifico, Todorovic si è servito di 42 videocamere per riprodurre l’iterazione dei movimenti per ogni singolo personaggio, utilizzato successivamente come elemento 3D nell’editing conclusivo.

Ogni ambiente dato, diventa quindi una tela sulla quale strutturare una diversa combinazione di elementi in movimento.

Schwer gioca sulla ripetizione di gesti quotidiani improvvisamente derealizzati dal contesto di riferimento. Gli spazi collidono attraverso corpi estranei che invadono l’ecosistema altrui, producendo sovrapposizioni che sembrano informate dalla logica poco addestrata di un’intelligenza artificiale.

Non è un caso che Mother Berlin, il team di sviluppatori che ha lavorato a fianco di Todorovic per questo video, si sia servito di un software come Anima, animatore simulativo che sfrutta l’IA come motore principale per evitare sovrapposizioni incongrue, ad esempio, quando si simula il movimento di una folla nello spazio.

In Schwer a un certo punto accade esattamente l’opposto e l’idea di corpo estraneo, che Paul Kalkbrenner ha precisato con la parola tedesca Fremdkörper, come ispirazione di partenza per il video, assume valore politico. Lo spazio di interazione, nello scambio tra corpi e luoghi assegnati, assume le caratteristiche inquietanti di un’invasione percettiva. Quello della sorveglianza, che incorpora la vita sociale, non è più in grado di contenere la realtà.

Firenze World Music Festival: multiculture e contaminazioni musicali alle Cascine

Una due giorni all’insegna della world music in un’accezione molto ampia e proteiforme. Nel cuore del verde fiorentino, presso lo spazio Ultravox dell’Anfiteatro delle Cascine intitolato ad Ernesto De Pascale, Erika Boschi e Agustin Cornejo tessono i fili di una rassegna davvero unica nel suo genere, coinvolgendo artisti provenienti da svariate parti del mondo, ma che hanno fatto della loro arte un territorio di scambio attivo ed apolide tra l’Italia e il resto del mondo.
Napoli, Lisbona, Buenos Aires e la stessa Toscana le terre in costante dialogo tra di loro.
Boschi e Cornejo, forti dell’esperienza come Sinedades, progetto stanziato a Firenze, ma che mette insieme stimoli culturali diversissimi, pur mantenendo al centro i ritmi latinoamericani, estendono la loro esperienza con la curatela di un festival che è sostenuto anche dagli sforzi logistici e produttivi dell’Associazione Culturale Reality Bites e l’etichetta discografica fiorentina Blackcandy.

Si comincia oggi 22 Luglio dalle ore 19:00 con Drum Circle Firenze, il progetto coordinato da Chiara Di Gangi che con il suo cerchio di tamburi punta a costruire un ponte virtuoso tra mindfulness e creatività, liberando insieme al ritmo aspetti che coinvolgono il benessere interiore e le capacità improvvisative. Una forma che eccede quella di una semplice performance e si sposa perfettamente con aspetti anche terapeutici. Vedere una loro session consente di lasciarsi andare ad un flusso ritmico sonoro davvero imponente.

Luarte Project è invece un duo nato a Lisbona ma con radici labroniche, costituito da Chiara Pellegrini e Andrea Musio. Caratterizzate da un approccio plurilinguistico, le loro canzoni sono veri e propri travelogue che restituiscono l’idea di movimento e di viaggio. Entrambi provenienti da un background di studi e specializzazioni jazzistiche, hanno all’attivo numerosi concerti. Qui li vediamo suonare a Lisbona, filmati nel 2023 da Helena Gonçalves – Gokötta

Alle 20:30 saliranno sul palco gli Ars Nova da Napoli, straordinaria formazione folk attiva dal 2009 e specializzata nel repertorio popolare campano. La loro ricerca etno-musicale comincia per strada, attraverso il contatto con gli spazi e la gente della città. A poco a poco il sud del paese è entrato nel loro repertorio, esteso adesso ad altre forme rispetto alle radici putative. Dalla pizzica alla tarantella calabrese, offrono uno spettacolo coinvolgente ed unico capace di suggerire sonorità, tradizioni e connessioni oltreconfine, che includono per esempio i suoni del folk balcanico.
Per avere un’idea della loro importanza, sarà sufficiente ricordare la partecipazione al format de La Blogothèque, filmati da Vincent Moon in persona appena un anno fa.

DNArt dj’s ovvero i gemelli Luca e Francesco Gori concluderanno la serata con la loro selezione di suoni che procedono dall’Afrobeat al funk, dalla disco alla deep house, rigorosamente suonati in vinile, di cui sono accaniti collezionisti e alchimisti.

Non meno coinvolgente la seconda giornata del festival che comincia alle 21:00 del 23 luglio nella medesima location con la musica di Nicolás Farruggia, cantautore nato in Argentina ma cresciuto entro i nostri confini. Chitarra e voce e talvolta il sassofono di Carlo Coppadaro, costituiscono un sound unico e coinvolgente che non ha bisogno d’altro. Chico Buarque è ospite di grande prestigio nel suo quarto album come solista intitolato “Poema livre“, distribuito dall’etichetta Cantores Del Mundo. Dalle sonorità cubane a quelle lusofone, incluse le suggestioni capoverdiane, Farruggia crea un suo personalissimo blues, ricco d’anima e potenza.

Dopo il set di Nicolàs Farrugia sarà il turno dei Choro De Rua, ovvero Barbara Piperno al flauto traverso e chitarra a sette corde di Marco Ruviara. La loro avventura è cominciata nel 2012 e alla base c’è l’attività di ricerca sulla tradizione della musica brasiliana che alternativamente affrontano dal punto di vista concertistico e didattico. Al centro Lo Choro, un genere strumentale sviluppatosi nella seconda metà del 1800 a Rio De Janeiro e che già includeva una fusione multiculturale di elementi, dalle danze europee a quelle africane. Mescolanza che individua il Brasile come connettore di tutti questi stimoli. I musicisti di Choro, chiamati chorões, si incontravano per il gusto dell’ensemble in vere e proprie riunioni che hanno poi assunto il nome di rodas. Lo spirito delle rodas riecheggia nell’attività dei Choro De Rua, che hanno all’attivo un buon numero di album in formato MP3 e due in formato fisico, intitolati rispettivamente Santo Bálsamo e Aeroplanando.

Per chi si avvicina al loro sound, c’è qualcosa che attraversa intimamente lo spirito del Brasile, tra la forza impetuosa degli elementi naturali e la saudade di aver già vissuto in quei luoghi

Chiudono in bellezza la seconda giornata del festival i Sinedades, il duo costituito dalla direzione artistica del festival. Di Erika Boschi e Agustin Cornejo, accompagnati in questa sede da Matteo Scarpettini, Gianni Apicella e come special guest Joaquin Corneio, abbiamo parlato qui su indie-eye con una lunga intervista. La loro riscrittura della tradizione latina, incontra spesso le forme del pop e del jazz, con uno spirito sempre fresco e inventivo.

Di seguito una splendida cover di Cobre (Meu Coco) di Caetano Veloso, che mostra lo scheletro emozionale del duo nella versione più semplice e cristallina

Lorenzo Hugolini, aka Hugolini, artista proteiforme già con i Martinicca Boison, band che ha pubblicato ben quattro dischi con la prestigiosa Materiali Sonori, oltre alla sua attività come musicista e autore di canzoni è anche un DJ. Il suo DJ set concluderà il Firenze World Music Festival dove il miscuglio di stili e generi diversi punta a incendiare il dancefloor. World in un’accezione molto ampia, dove il nostro cerca connessioni ritmiche e festaiole nella musica di Rino Gaetano, in quella poliritmica francofona, ma anche nel Charleston, nel funk, spingendosi fino al Sudamerica. Divertente e coinvolgente, la sua performance è una degna chiusura per il festival.

Firenze World Music Festival è a ingresso gratuito e il costo del parcheggio è di 2€, Ricordiamo che all’interno dell’area è presente un servizio ristoro. Per maggiori informazioni rivolgersi
all’indirizzo mail info@firenzeworldmusicfestival.com o visitare il sito web
www.firenzeworldmusicfestival.com.

Kali Malone, Trinity Form. La performance alla Biennale Musica per un organo del 1754

Assistere ad un concerto di Kali Malone è un’esperienza unica. Questo perché l’attenzione matematica alla struttura e alla prassi esecutiva permette alla musicista statunitense di evidenziare la coesistenza tra ambiente e strumento su basi assolutamente empiriche, che non si presentano mai uguali.
Per la Biennale Musica, Malone eseguirà Trinity Form, progetto ideato e sviluppato per la Basilica di San Pietro di Castello e commissionato dalla stessa Biennale Di Venezia, suonando l’organo costruito da Pietro Nacchini nel 1754. Insieme a lei, alle ore 17:00 del 20 ottobre ci saranno il violoncello di Lucy Ralton e la chitarra acustica con e-bow di Stephen O’Malley, già con Sunn O))), KTL, Lotus Eaters, per sancire una collaborazione che è cominciata proprio dal vivo e che discograficamente caratterizza l’ultimo lavoro di Malone uscito nel 2023 per Ideologic Organ, intitolato Does Spring Hide Its Joy.

Nata e cresciuta in Colorado nel 1994, Kali Malone ci ha vissuto fino a 16 anni, quando si è trasferita per un breve periodo nel Massachussetts, stabilendosi definitivamente a Stoccolma dal 2012.
Durante il perfezionamento e il master in composizione elettroacustica al Collegio Reale di Musica della città, ha pubblicato nel 2018 una serie di lavori, tra cui la cassetta Organ Dirges 2016-2017 per Ascetic House, Cast of Mind in formato LP per Hallow Ground. Quest’ultimo, registrato con il sintetizzatore modulare Buchla 200 insieme ad una strumentazione di ottoni e legni, mette in pratica i principi dell’accordatura naturale, esplorazione centrale nel lavoro della Malone, cresciuta artisticamente all’interno di quei gruppi di ricerca che si concentrano sugli studi microtonali, applicando modalità alternative al sistema di accordatura della scala musicale occidentale, diffuso e noto come temperamento equabile.

L’organo a canne era già uno strumento di ricerca importante per Malone, non solo nei primi lavori tra cui quello già citato per Ascetic House, ma anche nella prassi laboratoriale condivisa con Jan Börjeson, accordatore svedese d’organi, con cui lavora costantemente. Questa formazione tecnica le ha consentito di capitalizzare i passaggi specifici dell’accordatura, elaborando un processo di ricerca radicale nella composizione.

Interesse che prosegue con The Sacrificial Code del 2019, dove la registrazione e la microfonazione di tre organi differenti elimina tutti i riferimenti ambientali che codificano in certi casi il suono stesso e la definizione storico-religiosa dello strumento, tra cui il riverbero dello spazio. Una riduzione radicale che punta all’essenza anche in termini compositivi, dove l’ego dell’esecutore viene letteralmente scarnificato da ogni tentazione ornamentale e manipolatoria. C’è una dimensione meditativa che attraverso una ferrea disciplina, ritrova estrema libertà fuori dalle convenzioni e dagli standard che vorrebbero definirla.

La prassi di registrazione degli album è molto diversa da quella live. Nella prima ogni tono viene registrato separatamente, secondo una scansione metronomica, mentre nelle performance dal vivo subentra una dimensione performativa basata sulla resistenza e sulla concentrazione, soprattutto quando gli esecutori sono più di uno e si muovono sugli stessi registri e sulle medesime ottave.
A questo si aggiungono le condizioni ambientali, la scelta di microfonare o meno le canne, la dimensione dell’accordatura pura, che può condurre a risultati inaspettati, anche in base agli sbalzi di temperatura del contesto.

Pur provenendo da un background di matrice improvvisativa, Kali Malone si è avvicinata maggiormente alle strategie della musica generativa, se la intendiamo come pratica strutturale ponderata e basata su specifici parametri. Un sistema per produrre musica e suoni che cambiano continuamente nella relazione con il tempo, lo spazio e il punto di fruizione. La ripetizione e la serialità nascondono quindi risultati inaspettati anche per l’esecutore stesso.

L’ultima pubblicazione discografica di Malone si allontana dall’organo, ma non dal metodo. In Does Spring Hide it’s Joy conduce oltre la sperimentazione del precedente Living Torch. In quel caso era la combinazione del sintetizzatore modulare Arp 2500 con una complessa struttura elettroacustica, in questo invece gli oscillatori ad onda sinusoidale accordati e suonati insieme al violoncello di Lucy Railton e la chitarra di Stephen O’Malley.

Senza alcun ancoraggio per l’ascoltatore è la dilatazione del tempo che definisce la qualità mutevole del suono, proprio quando sembra addensarsi, producendo massa. Si definisce una dimensione dell’ascolto basata sulla stessa attenzione reciproca degli esecutori. Ciò che in altri contesti potrebbe promanare da una prassi legata alla meditazione spirituale, per Malone è la contemplazione naturale delle catene montuose del Colorado, che hanno caratterizzato il possente orizzonte visivo della sua pre-adolescenza.

Nella ricerca del post-minimalismo che estende le intuizioni di Steve Reich e La Monte Young, Kali Malone sembra riconnettere la sperimentazione della drone music al tentativo di far riemergere una storia armonica cancellata e precedente al diciottesimo secolo.

Lo spazio di una chiesa del Seicento come la Basilica di San Pietro di Castello accoglie uno dei 500 strumenti costruiti dall’organaro Pietro Nacchini, fondatore della scuola veneta del Settecento.
Si tratta di un organo a una sola tastiera e dieci registri, inserito dentro una piccola cantoria, collocata dietro l’altare maggiore. Restaurato recentemente dal maestro Micconi, suona nuovamente in tutta la sua ampiezza armonica da circa tre anni.

Vedere l’interpretazione viva dello strumento da parte di Kali Malone insieme a due dei suoi collaboratori più frequenti, rappresenta un tassello ulteriore della sua ricerca in costante movimento e in una combinazione del tutto inedita che mette insieme i suoi primi lavori dedicati all’organo con l’impiego di un ensemble elettroacustico.

Per informazioni sull’evento, consulta la scheda sul sito de La Biennale

Kali Malone, nell’ambito della Biennale Musica diretta da Lucia Ronchetti, è una dei cinque organisti che si esibiranno nella Basilica di San Pietro in Castello, nelle Chiese di San Salvador e San Trovaso e nella Sala dei concerti del Conservatorio Benedetto Marcello, così da valorizzare le creazioni veneziane di Gaetano Callido, Pietro Nacchini, Franz Zanin e Jürgen e Hendrik Ahrend. Il titolo della sezione è Stylus Phantasticus – The Sound Diffused by Venetian Organs e ciò che accumuna le esibizioni è la scrittura organistica in direzione polifonica, declinata da punti di vista diversi, ma tutti tesi a valorizzare il rapporto tra suono e spazio architettonico che accoglie gli strumenti. Oltre a Malone, gli artisti coinvolti in altrettanti e diversi eventi sono Wolfgang Mitterer, John Zorn, Andrea Marcon e Luca Scandali

[Foto dell’articolo, Biennale Musica – ufficio stampa – Kali Malone foto di Victoria Loeb]

Frida Bollani Magoni in concerto, chiude il Festival Delle Colline 2023

L’utilizzo positivo e consapevole dei mezzi connettivi è qualità sempre più rara. Oltre al suo incredibile talento, uno dei meriti di Frida Bollani Magoni è anche questo. Aver utilizzato la rete come un’estensione del proprio mondo creativo, aprendosi a collaborazioni globali con entusiasmo e ansia di ricerca, un connubio impensabile quando i media non erano parte della nostra quotidianità, ma anche un’occasione sfruttata al massimo in un contesto sociale che sempre di più sovrastima le piattaforme di condivisione per le ragioni sbagliate. Frida le ha dominate dal lato giusto della finestra e ha consentito di entrare in contatto con un mondo di possibilità sonore ed espressive, dove il dialogo tra tastiera e voce rivela ogni volta quanto la seconda possa essere uno strumento duttile e ancora tutto da esplorare.

Il lavoro capillare di Frida, inizialmente veicolato attraverso frammenti video entrati nel flusso dei contenuti virali, ha rivelato una capacità di riscrittura davvero notevole, la stessa che con un approccio più specifico abita con estasi, furia e coscienza durante i suoi concerti.

Primo Tour“, debutto discografico ufficiale e documento sintetico delle sue possibilità, rigorosamente registrato dal vivo, riassume un metodo sorprendente di reinvenzione sul repertorio altrui. Questo accade con un attraversamento amplissimo, da Leonard Cohen a Robbie Williams, da Britney Spears a Frank Ocean, dove non esiste più confine tra le forme del pop di consumo e la ricerca sonora.

La sua versione di Toxic, per esempio, comunica gli aspetti più oscuri incorporati nelle liriche originali attraverso un utilizzo rivelatorio della dissonanza. Improvvisamente emerge una deragliante filastrocca d’amore tossico illuminata dalla qualità soulful della voce, condotta verso profondità emotive di grande spessore. Ci dispiace per Britney.

L’occasione per vedere Frida Bollani Magoni al suo piano è per il 24 luglio 2023 nell’ambito del Festival delle Colline di Poggio a Caiano.

Frida Bollani Magoni – Feelings di Morris Albert, ispirata dalla versione di Nina Simone

Nel Giardino della Chiesa di Bonistallo, alle 21:15 Frida chiuderà il cartellone dell’edizione 2023 diretta artisticamente da Gianni Bianchi, che quest’anno ha ospitato artisti come Michael Mcdermott, Scarlet Rivera e Daniel Norgren, Meg, Marco Parente, Extraliscio, Jacopo Fagioli e i gruppi finalisti del Sound Bridge Contest, concorso musicale organizzato dal Festival delle Colline e vinto da Frisàri.

L’ingresso per il concerto di Frida Bollani Magoni è di 10 Euro.

[Materiale stampa e fotografico concesso da ufficio stampa Marco Mannucci – Foto dell’articolo di Francesco Prandoni]