mercoledì, Novembre 27, 2024
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The Chemical Brothers, annullato il concerto al Lucca Summer Festival 2023

A Causa di un problema di salute che ha colpito Tom Rowlands dei Chemical Brothers, il concerto previsto per il 23 di Luglio a Lucca, nel contesto del Lucca Summer Festival 2023 è stato annullato.

Sarà recuperato il prossimo 2 settembre presso il Parco Bussoladomani del Lido di Camaiore.

Siamo estremamente dispiaciuti nel comunicare che il concerto previsto al Lucca Summer Festival domenica 23 luglio, è stato spostato a causa di un’infezione all’orecchio che ha colpito Tom Rowlands dopo gli ultimi show – ha dichiarato il duo attraverso i canali ufficiali – A causa dell’infezione, i dottori gli hanno ordinato di non prendere aerei e di non esporsi a musica ad alto volume“.

Lo stesso Rowlands ha voluto comunicare direttamente con i suoi fan italiani: “Sono incredibilmente frustrato nel comunicarvi che mi è impossibile esibirmi al concerto in Italia questo fine settimana, purtroppo soffro di una brutta infezione all’orecchio e mi è stato sconsigliato viaggiare in aereo e di espormi a musica ad alto volume. :( Spero di guarire completamente presto e di rivedervi prima possibile. Grazie

I biglietti già venduti restano validi per la nuova location. I rimborsi saranno a breve disponibili su https://www.rimborso.info

The Chemical Brothers, visuali e coinvolgenti al Lucca Summer Festival: le anticipazioni

Il concerto dei The Chemical Brothers al Lucca Summer Festival, previsto per il 23 di Luglio è stato annullato e rinviato al 2 settembre presso il Parco Bussoladomani di Lido di Camaiore a causa di un problema di salute che ha colpito Tom Rowlands, i dettagli da questa parte

Trentacinque anni di esperienza nell’arte del sampling, della musica elettronica, del trapasso da psichedelia organica a mondi sonori virtuali. The Chemical Brothers, soprattutto dal vivo, sostituiscono un’esperienza psicotropa in piena regola per l’impostazione, tra suoni e visual, che sollecita e intensifica gli aspetti allucinatori della percezione.
Le recensioni degli ultimi concerti internazionali concordano su questo aspetto: la commistione vitale tra breakbeat e i visual inventivi creati dalla premiata ditta Smyth & Lyall, costruiscono un dialogo sinestetico senza soluzione di continuità. Ogni canzone è una combinazione unica che proviene solo in parte dall’immaginario codificato nella loro importante videografia, di cui abbiamo parlato anche da questa parte nel nostro primo approfondimento dedicato all’imminente concerto al Lucca Summer Festival, previsto il 23 Luglio in Piazza Napoleone.

Ogni brano rappresenta un unicum, ma si fonde con quello successivo, nel passaggio da euforia collettiva a quel senso di spossessamento percettivo che nella loro musica racconta senza sconti trent’anni di clubbing tra luci e ombre, esaltazione e disagio esistenziale.

I live più recenti sono caratterizzati da una carrellata amplissima nel loro universo sonoro, spesso caratterizzati da bis fluviali quasi come la setlist. All’orizzonte il nuovo album, intitolato For that Beutiful Feeling e previsto per il prossimo 8 settembre. Il decimo album di inediti di Tom Rowland & Ed Simons verrà pubblicato in tre versioni, CD, doppio LP e triplo LP, a quattro anni di distanza dal precedente No Geography. I primi tre singoli sono stati centellinati a partire da The Darkness that you fear, del 2021, passando per No Reason, pubblicato nel 2022, fino a Live Again, uscito il 28 giugno e che include la featuring di Halo Maud.

Arriva adesso invece il video ufficiale del brano, diretto dai collaboratori storici del duo, Dom & Nic (Setting Sun, Block Rockin’ Beats, Hey Boy Hey Girl, The Test, Believe, The Salmon Dance, Midnight Madness, Wide Open), pubblicato proprio ieri 19 luglio.

Come accade in tutta la videografia dei nostri anche Live Again spinge oltre i confini e le relazioni tra immagine e VFX. Il set in continuo movimento tra virtuale e reale è al centro di questo straordinario video con la performance della ballerina Josipa Kukor. Una stanza, un deserto, una foresta. Spazi metamorfici allestiti nei set virtuali dell’ARRI stage di Londra. Grazie ad un’architettura complessa hanno sperimentato effetti “live” in tempo reale, filmando piani sequenza lunghissimi all’interno di mondi virtuali CGI.

Live Again – hanno dichiarato – è la nostra decima collaborazione con The Chemical Brothers. Il titolo del brano, i suoni analogici e il testo visionario ci hanno suggerito un viaggio allucinogeno relativo al viaggio di un personaggio intrappolato in un ciclo di morte e rinascita. L’eroina nel video si sveglia o rinasce in ambienti diversi che vanno dai deserti alle strade notturne delle città al neon e dai rave nelle caverne ai mondi extra terrestri

Questa idea di spazio in continuo movimento, caratteristica che attraversa videografia, visual e costruzione sonora del duo britannico, sarà al centro del live allestito per una delle date più attese del Lucca Summer Festival, il prossimo 23 luglio in Piazza Napoleone, nel cuore storico della città toscana.
Le setlist fluviali dei nostri, pur mantenendo uno scheletro solido concerto dopo concerto, in quelli più recenti si sono rivelate ricche di sorprese, con espansioni inattese e soprattutto un’architettura visuale che supera il setting del 2019. Grande wall alle spalle e una combinazione “live” e narrativa di elementi 3D, estratti dai videoclip, sample visuali, che rappresentano una controparte altrettanto importante dello show.

I biglietti sono ancora disponibili per quanto riguarda il settore Pit-area posto in piedi (74,75) e i posti in piedi da 51,75. Il tutto attraverso il circuito ticketone.

Blur al Lucca Summer Festival: l’atteso concerto alle Mura Storiche

Dal 22 novembre scorso, quando abbiamo parlato dell’unica data italiana dei blur a Lucca, prevista per Sabato 22 luglio nella grande location delle Mura Storiche, si sono aggiunti altri elementi.

Oltre ai progetti paralleli in corso, Gorillaz da una parte e The Waeve dall’altra, il nuovo album era ancora confinato nel regno delle supposizioni. The Ballad of Darren è adesso una certezza e uscirà il giorno dopo il concerto lucchese. Ad anticiparlo due singoli, The Narcissist e St. Charles Square, pubblicati rispettivamente due mesi e due settimane fa.

Nessun video ufficiale di rilievo per veicolarli, tranne un semplificatissimo visualizer per il primo e un video girato dal vivo per il secondo. La regia è di Toby L, professionista che aveva già lavorato con Damon Albarn per il video live di Polaris. La strategia visuale è quindi inevitabilmente orientata a promuovere il nuovo tour già in corso e ad utilizzare eventualmente questo per inserire a poco a poco uno showcase in fieri dell’album.

blur – St. Charles Square – il video ufficiale di Toby L.

Lo dimostra la setlist, che evita la scelta di brani mai ascoltati, tranne in alcuni casi specifici e si limita all’inclusione dei due nuovi singoli, generalmente in apertura e alla fine del set.

La selezione dedica ampio spazio agli album più importanti della band britannica, privilegiando l’impatto più elettrico, a cui si allineano i due brani e in particolare la bowiana St. Charles Square, con un Graham Coxon esuberante che recupera in qualche modo il sound più selvaggio del Robert Fripp di Scary Monsters.

I concerti più recenti e soprattutto quelli al Wembley Stadium dell’8 e 9 Luglio hanno registrato il tutto esaurito e assestato un modello del live che dovrebbe ripetere la stessa scansione anche per l’atteso appuntamento lucchese.

Le variabili ci sono, a partire dalla coinvolgente versione di Tender, una costante di tutti i live da due mesi a questa parte, che a Wembley si è trasformata in celebrazione laica, grazie al coinvolgimento del London Community Gospel Choir, che non può certo circolare ovunque in tour con la band.

Più facile forse portarsi appresso Phil Daniels, l’attore inglese che prestava già la sua voce nella versione da studio di Parklife e che per gli appuntamenti londinesi è improvvisamente comparso insieme alla band. A Wembley mentre usciva da una tenda per lavori stradali, al Radio Theatre della BBC, direttamente sul palco.

blur – Parklife live, nel concerto per la BBC del 18 luglio scorso al Radio Theatre (feat. Phil Daniels)

All’interno di uno scheletro più o meno simile si alternano alcune sorprese. Al Primavera Sound di Barcellona hanno per esempio inserito Luminous, B-side oscura del singolo Bang, tratto dal primo album della band.

A Dublino oltre a Russian Strings e Barbaric, due tracce dall’imminente album che hanno incluso anche nel concerto della BBC, più vicino ad uno showcase, è comparsa Colin Zeal da Modern Life is Rubbish. I concerti australiani e americani hanno invece privilegiato molte tracce da The Magic Whip, alcune delle quali completamente scomparse in tutti i successivi concerti europei.

Quello che sembra lo scheletro sicuro dei set allestiti a partire da luglio comprende: St. Charles Square quasi sempre in apertura, seguita da There’s No Other Way e la splendida Popscene. Ci sono anche Tracy Jacks e Beetlebum e poi Trimm Trabb, Villa Rosie, Coffee & TV, End of a Century, Country House, Parklife, To The End, Girls & Boys, Advert, Song 2, This is a Low e Universal.

E se i momenti più intensi dei concerti di Wembley sembrano stati quelli legati ad Under the Westway, con Albarn in lacrime alla fine del brano eseguito durante il secondo live londinese (fonte The Sun e YouTube) e una splendida versione di Stereotypes, perché non immaginarci che l’unica data italiana in una location così importante, non debba riservare altre sorprese?

I biglietti per il concerto dei blur al Lucca Summer Festival sono ancora disponibili attraverso il circuito Ticketone. Le tipologie ancora in vendita sono i Posti in piedi a 59,80 EURO e la LSF Experience, ovvero gli esclusivi Sky Box, a 350 Euro.

Suzanne Vega conquista il pubblico toscano: la recensione del concerto all’Estate Fiesolana

I motivi per cui Suzanne era vestita di nero e non con i colori dell’estate, lo ha spiegato attraverso uno dei brani della sua produzione più recente, parte del dittico prodotto da Gerry Leonard, con il quale Vega ha condiviso il palco dell’Anfiteatro di Fiesole. I never wear white è arrivata quasi alla fine del set, ma conteneva una chiave per leggerlo. Il nero è per i segreti, i fuorilegge e i danzatori; per i poeti dell’oscurità. Il cappello a cilindro indossato all’inizio e alla fine della selezione, ha lo stesso potenziale simbolico di quello che Marlene Dietrich sfoggia in Marocco di Josef von Sternberg, ma rispetto al cross-dressing della Diva, Suzanne Vega gioca con il contrasto tra il controllo del crooner e la leggerezza della costruzione poetica, l’assunzione del punto di vista e il suo dissolversi in decine di storie possibili, evanescenti come il filo di vento che agita il suo vestito durante la serata.

E in questa levità c’è tutto il mistero contenuto nei versi di Marlene on the wall con cui introduce il concerto. Dietrich osserva i frammenti di una storia amorosa dal poster di una camera e non ci è consentito conoscere altro in quello scambio impossibile di sguardi, se non taglio e intensità di parole che possono racchiudere violenza anche nell’apparente gentilezza del tocco.
Prossimità e solitudine condividono lo stesso spazio, mentre la sintesi sottrattiva dello spettro colorimetrico, li contiene tutti. Suzanne riesce ancora a cantarli con una voce di velluto, incredibilmente immutata e forse più presente e carnale rispetto alla seducente labilità a cui ci ha abituati con le registrazioni in studio.

L’approccio confidenziale, orientato ad un sincero abbraccio verso il pubblico viene costantemente mitigato da un’attitudine a raffreddare l’eccesso di empatia con l’intelligenza del motto di spirito.
Privilegerò in particolar modo canzoni del mio vecchio repertorio“. E mentre si presume che il solco percorso sia quello della celebrazione, considerati i quasi quarant’anni dalla pubblicazione del primo album, Suzanne fotografa con ironia una necessità vitale: “Per lo meno le conoscete tutte, vedo che il pubblico è più rilassato quando eseguo brani più vecchi“.

Anche quando vengono rivelate connessioni autobiografiche, Suzanne gioca con l’astrazione. Il senso di svuotamento lasciato dal dialogo a distanza tra Gipsy e In Liverpool, al di là e oltre le occorrenze intime che ha voluto raccontarci, rivela il lavoro del tempo sui sentimenti, dove le occasioni per ricordare un amore scompaiono insieme ai tratti di una città derealizzata.

Perdita, disillusione, disorientamento, abbandono sono i temi che Suzanne mette insieme per il concerto fiesolano. Sono i suoi, del resto. Il cuore di questa osservazione della realtà interiore pulsa fino a diventare politico, nella doppia dedica che indirizza al popolo ucraino e che con grande costanza continua a proporre nei suoi live, a partire dal concerto newyorchese di beneficenza allestito il 10 marzo 2022.

Rock in this pocket (Song for David) ancora una volta e con grande forza è il punto di vista che si erge contro l’abuso e la violenza. La pietra che nascondiamo in tasca può essere scagliata contro chi oscura il nostro orizzonte esistenziale e quella canzone scritta nel 1992 come inno alla rivendicazione del proprio spazio, diventa l’assunzione del divino nel gesto di resistenza individuale.
Last Train From Mariupol, che ha eseguito subito dopo è invece un’instant song, scritta durante il tour con Gerry Leonard per reagire allo stupro reiterato della Federazione Russa su territorio ucraino. Su quel treno, Dio ancora una volta non si manifesta e lascia quelle terre insieme ad un popolo costretto all’esilio.

Una concretezza sorprendente in questi anni di pacifismo metafisico, trasmessa attraverso la sintesi tagliente del linguaggio di poesia.

I temi cari a Vega tornano tutti, incluso quello sottile e mai pienamente rivelato della violenza come linea rossa che attraversa molte delle sue liriche, ma acquisisce una dimensione militante espressa con la forza e la semplicità diretta delle anti-war song, quelle vere.

E oltre a quelli espliciti, Vega anticiperà e tornerà sugli stessi temi con The Queen and the Soldier e When Heroes Goes Down, dove personale e politico si intrecciano per davvero.

In Italia c’è una tradizione diversa, più ipocritamente pacifista e non è scontato che i codici della canzone di resistenza disossate dagli orpelli ideologici, vengano compresi a tutte le latitudini.

Chi scrive l’ha trovato necessario, fondamentale e perfettamente inscritto nel percorso artistico di Vega. Ciò che infatti colpisce è la capacità di piegare il discorso politico entro il proprio ecosistema poetico, una cornice sempre aperta che mantiene un grado di possibilità interpretativa amplissima, anche quando i tratti sono quelli apparenti della folk-song tradizionale.

Da questa, sin dagli esordi, Suzanne Vega ha distillato altre possibilità, vicine al minimalismo di Philip Glass, ma anche di XTC e Talking Heads, se si pensa ad un album come Solitude Standing, imprinting di quell’architettura sonora che attraverso il fascino spiraliforme della ripetizione, rivela il proprio codice genetico.

La title track arriva più o meno a metà del live e rappresenta uno dei miracoli del connubio felicissimo insieme a Gerry Leonard. Il chitarrista che ha definito parte del suono di Bowie da Heathen in poi, rilanciando alcune intuizioni di Robert Fripp in una forma più fisica e intima, lavora sul palco con un’ampia pedaliera e soprattutto, gioca con le infinite possibilità della Loop Station. La utilizza con modalità essenziali, ma efficaci, talvolta supportando l’ordito degli intrecci chitarristici più ricchi nel songwriting di Vega, altre volte costruendo soundscapes aperti ed onirici.

Solitude Standing subisce per esempio una contrazione più intima rispetto all’assalto ritmico della versione su disco, la splendida revisione di Some Journey al contrario si espande, mentre When Heroes Goes Down, ennesimo brano tratto da 99.9F°, si fonde con Lipstick Vogue di Elvis Costello, in un omaggio annunciato che consente a Leonard di lavorare su quella forma urgente che caratterizzava il sound del 1978, ma anche alcuni aspetti in nuce nell’album più elettronico tra quelli prodotti da Mitchell Froom.

Suzanne imbraccia l’acustica, e la domina con un senso liberatorio del controllo. Un’attenzione registica a tutto l’insieme che dialoga con lo spazio tra compostezza e fisicità. Disattende quindi chi vorrebbe dipingerla come una narratrice distante, un’icona sottile come l’aria, un’autrice distaccata.

Di sangue, dolore e cuori alla deriva nello spazio di una città tanto affascinante quanto indifferente come quella che emerge dalle proteiformi descrizioni newyorchesi, si può parlare con forza anche senza le posture di un artista contrito, perennemente trafitto.

Vega al contrario trasmette una gioia non riconciliata, un sentimento d’equilibrio che nega gli eccessi dell’euforia, respirando pienamente la vita, anche quando ci ricorda il colore preferito, accennando uno straordinario movimento erotico in punta di sandali e quel black, black, black ripetuto con il soffio seduttivo di un respiro.

Prima ancora che a Bilinda Butcher e a tutto quello che ne è derivato, dovremmo riconoscere a Suzanne Vega il potere evocativo di una voce al limite con il sussurro, capace di sollecitare tempi e spazi dell’interiorità.

In Vega e soprattutto sul palco, la canzone è la storia e la storia è la canzone. Un’avvitamento chiarissimo con il nero del vestito di cui parlavamo, dove la dimensione allegorica viene costantemente ricondotta alla sua libertà laica, grazie alle possibilità dell’osservazione.

E cos’è del resto Tom’s Diner, se non la scaturigine di racconti possibili, generati da uno sguardo confinato nell’angolo e lasciati liberi appena l’occhio intercetta il successivo. Fino a quando non si comprende di esser già inclusi nella visione, osservati dall’esterno, come i frammenti di una vita, ormai parte di altre storie di cui non possiamo controllare lo sviluppo.

Suzanne ha riscritto radicalmente la canzone insieme al looping e allo stoppato di Leonard. Una sintesi emozionale che consente all’artista newyorchese di mormorare le liriche, sulla scia di un jazz’n’rap essenziale, discreto e appartato che rivela la circolarità della struttura.
L’Anfiteatro di Fiesole esplode e cerca di riempire con la partecipazione del battito quello spazio ritmico e tensivo miracolosamente creato dai due artisti.

Il mormorio di cui parlavamo riflette incredibilmente il “doo do doo” di Walk on the wildside, il primo dei tre bis fortemente richiesti che Vega concederà al suo pubblico.

Quello scorcio eminentemente newyorchese è un controcampo rispetto al punto di vista incorporato nel Diner di Tom. Le due canzoni si annodano in termini armonici e ondeggiano su vocalizzazioni simili. Commuove allora la dedica che è anche riappropriazione di un’eredità culturale, definizione della propria identità ed infine, resistenza radicale alla dittatura delle cover. Perché Suzanne riscrive continuamente il suo e l’altrui repertorio.

Ciò che lega il suo passato al presente irripetibile di un live, è il seme di un’esperienza che defamiliarizza ciò che possiamo e desideriamo riconoscere.

La radice dell’emozione, sta proprio in questa idea di movimento.

La tastiera MIDI completamente configurabile da Arturia: il video test di Keylab Essential Mk3

Nel mercato proteiforme dei controller MIDI, Arturia occupa un posto di rilievo per l’accessibilità dei suoi dispositivi e soprattutto per l’alto livello di configurabilità che li rende assolutamente unici nel panorama delle tastiere che lavorano con gli strumenti virtuali (VST) e le workstation digitali come Ableton Live (DAW).

Abbiamo avuto la possibilità di testare uno degli ultimi modelli della nuovissima serie Keylab Essential Mk3, in particolare la tastiera a 61 tasti, le cui differenze con quella da 49 sono semplicemente legate all’estensione del dispositivo, perché le funzioni sono identiche.

A corredo della tastiera/controller, Arturia fornisce un’agile documentazione per registrare il prodotto, un cavo USB-C to USB tradizionale per la connessione con qualsiasi computer e una dotazione di software davvero imponente, che oltre alle due applicazioni di gestione proprietarie, include un notevole assortimento di terze parti.

Con il nostro video, oltre al classico unboxing, abbiamo abbinato un lungo howto per sviscerare in termini pratici e operativi le funzioni principali del dispositivo.

Lo abbiamo testato con due macchine Windows diverse, una meno potente, ovvero un vecchio dual core, la seconda invece con un processore Intel esacore di decima generazione, con scheda video dedicata e 32 giga di memoria RAM. Nel primo caso Arturia è riuscita a lavorare egregiamente con qualche rallentamento software e una latenza tra pressione del tasto e riproduzione del suono appena percettibile. Nel secondo caso si è rivelata una vera e propria bomba, per risposta e praticità. Ricordiamo che i requisiti minimi che Arturia consiglia per l’utilizzo di Keylab essential Mk3 sono

  • 4GB RAM
  • un processore di 3.4GHz o più alto
  • una CPU di 4 Core
  • 3Gb di spazio disponibile su hard disk.

L’ampia configurabilità del controller consente a Keylab Essential Mk3 di lavorare a pieno regime con le interfacce software di terze parti, assegnando a comandi, pulsanti e manopole le funzioni adatte per il proprio workflow, sia per un utilizzo live che in studio.

Nel nostro video abbiamo costruito un workflow di base, utile per cominciare, mostrando alcune interazioni con software di terze parti come Ableton Live lite 11, in dotazione con il dispositivo.

Al centro il software Analog Lab V, braccio destro di Keylab essential, controllabile da subito con la tastiera e corredato con circa 2.000 presets che passano in rassegna sequenze melodiche, pattern ritmici, voci sintetizzate come i preset dedicati al vocoder, design sonori completi e i suoni di una gamma vastissima di synth a partire dalla storia delle sonorità analogiche anni settanta e ottanta.

Una vasta dotazione di effetti, capacità di combinazione e manipolazione, trasformano il dialogo tra software e controller in un’esperienza intuitiva e allo stesso tempo di ricerca, grazie alle nove manopole e ad altrettanti fader presenti sulla tastiera, per controllare la morfologia e le trasformazioni del suono.

Molto interessanti le possibilità di ricerca e navigazione integrate nel software Analog Lab V, con una gestione molto avanzata di filtri per categorie, strumenti, autori e designer.

Le funzioni di Keylab Essential Mk3 che abbiamo esaminato nel video sono

  • La configurazione di Midi Control Center e la personalizzazione dei PAD per trasformare i due banchi da otto in una drum machine (funzione BANK)
  • Le funzioni Arpeggiator e Hold combinate insieme
  • La configurazione di strumenti virtuali combinati con la funzione PART del controller Arturia
  • La funzione Chord per assegnare ad un solo tasto la riproduzione di un accordo completo
  • Manopole e Fader per modificare il suono “live”
  • La navigazione tramite encoder e display LCD della tastiera
  • Lo spostamento delle ottave della tastiera con la funzione Oct

La dotazione software di Arturia Keylab Essential Mk3 include prima di tutto l’essenziale Midi Control Center, che deve essere installato necessariamente per primo, per accedere alle configurazioni MIDI generali e per personalizzare i controlli della tastiera a partire dagli otto pad a bordo, utili per sequenze accordali o come drum machine.

Il cuore del controller, come abbiamo visto nel video, è Analog Lab V, il programma che consente di interagire con suoni, effetti e che implementa un sistema di navigazione tradizionale via mouse, oppure attraverso l’encoder stesso della tastiera: una manopola che permette di navigare tra le categorie del software direttamente senza mouse e che grazie ad un display LCD più ricco delle edizioni precedenti, consente una gestione completa del software.

Arturia fornisce anche le licenze complete della versione Lite di Ableton Live 11, la nota DAW per la composizione musicale e per l’utilizzo durante un live. Arturia può controllare qualsiasi funzione di Ableton e consente anche l’utilizzo dei suoni di Analog Lab V, utilizzando quest’ultimo come plugin.

Grand Piano Model D e The Gentleman sono due DAW che trasformano il controller in un pianoforte, attraverso una serie di preset modificabili che restituiscono l’ambiente, la dinamica e i suoni di due strumenti diversi, in condizioni ambientali e di esecuzione diverse. Keylab essential può tra l’altro contare su una tastiera semipesata, discretamente sensibile al tocco e che quindi restituisce una dinamica più realistica rispetto alla pressione dei tasti.

Loopcloud e Melodics sono invece due software forniti in versione limitata. Il primo consente di lavorare sulla costruzione di produzioni attraverso una vastissima libreria di loop e sample. L’accesso che Arturia offre è per due mesi. Il secondo è un vero e proprio software di formazione, che consente di imparare le basi per suonare una tastiera. Arturia in questo caso regala 48 lezioni.

Tutti i software si scaricano e si registrano attraverso la dotazione di risorse presenti nell’account Arturia che sarà necessario creare sul sito ufficiale del brand francese, per registrare il prodotto.

Scegliete con cura la macchina sulla quale installare i prodotti offerti, sono possibili successive disattivazioni e riattivazioni delle applicazioni, ma è bene ricordare i seguenti dettagli:

  • Analog Lab V può essere attivato su cinque differenti macchine
  • Ableton Live e i prodotti Native Instruments (The Gentleman in questo caso), consentono l’utilizzo su due computer, ma non possono essere utilizzati nello stesso momento
  • Melodics e Loopcloud possono essere utilizzati in qualsiasi momento e su qualsiasi macchina, perché l’attivazione è una sottoscrizione
  • I prodotti UVI Workstation (Grandpiano Model D in questo caso), utilizzano un software di gestione per le registrazioni molto simile a quello dei prodotti Steinberg. Si chiama iLok, e nel caso si debba passare da un computer all’altro, è necessario procedere con una disattivazione dalla macchina precedente, per procedere con la riattivazione su quella successiva.

Keylab Essential può lavorare anche con altre DAW, tra queste, nell’account registrato dall’utente, è presente tutta la documentazione per l’integrazione con Logic Pro, Live, FL Studio, Cubase, Bitwig Studio. La sezione Resources del sito contiene inoltre tutta la manualistica in PDF, nelle lingue Inglese, Spagnolo, Tedesco, Giapponese, Francese.

Oltre alle funzionalità, che abbiamo analizzato in lungo e in largo nel nostro video e nel nostro articolo, non è secondario il costo di Keylab Essential Mk3. La versione 49 tasti viene venduta dal sito ufficiale a 199 euro. Quella che abbiamo esaminato, la 61 tasti è invece venduta a 249 euro. Oltre alla qualità, il prezzo è tra i più competitivi nell’ambito dei controller/tastiere MIDI.

Il mondo Arturia è inoltre espandibile all’infinito, con la proposta periodica di suoni, VST, pacchetti, plug-in e applicazioni proposte direttamente dallo store ufficiale per l’interazione con Keylab Essential. Un vero e proprio ecosistema.

Lil Nas X, l’imperdibile live al Lucca Summer Festival 2023

Lil Nas X è un fenomeno che eccede la sua stessa produzione musicale. La sua proposta non è scindibile dai numerosi registri con cui ha affrontato i mezzi di comunicazione di massa, definendosi ad ogni uscita, provocazione e intuizione come uno dei principali interpreti della sua generazione.

Dal successo di “Old Town Road“, singolo inizialmente veicolato via TikTok e la pubblicazione a soli 22 anni del primo full lenght intitolato “Montero“, la ridefinizione dell’immaginario hip-hop in termini queer si è radicalizzata, grazie anche ad una serie di videoclip che forzano tutti gli stereotipi del genere e le aspettative di genere, per sollecitare un’America provinciale, bigotta e ancora terrorizzata da tutto ciò che non corrisponde alla normatività identitaria e sessuale.

Un brano come “That’s What i Want“, inno vero e proprio all’espressione del desiderio queer, esiste anche in virtù della promozione transmediale che ha sfruttato le principali piattaforme di condivisione, per amplificare messaggio e attitudini.

Centoquarantre milioni di visualizzazioni capitalizzate da un anno a questa parte, che in termini squisitamente sonori ricordano la forma più pop e scanzonata degli Outkast, mentre le immagini dirette dal geniale STILLZ, massacrano insieme alle liriche gli stereotipi dei ragazzi neri con i denti d’oro. Product placement per la Durex, amplessi omoerotici sotto la doccia, accampamenti western che recuperano il capovolgimento dell’estetica machista per come l’ha rappresentata Ang Lee in Brokeback Mountain e una straordinaria ironia che gioca con la forma combinatoria delle parole: that’s what i fucking want, mentre la penetrazione anale sfiora l’apice.

Le contaminazioni di “Montero” procedono quindi su più piani. In termini strettamente musicali è il tentativo di ricondurre l’estetica hip-hop dalle parti di un pop maggiormente contaminato, con incursioni sonore che strizzano l’occhio alla wave di quarant’anni fa e alla black music non riconciliata di inizio millennio, senza ovviamente sfiorare le radicalizzazioni dell’ecosistema Anticon.
Le numerose ospitate del disco, inclusa quella di Elton John, definiscono maggiormente un pastiche che dialoga a più riprese con il passato, grazie all’equitemporalità diffusa e schizoide dei progetti degli ultimi anni.

Ciò che sorprende in questo contenitore musicale onnivoro è la capacità di utilizzare i nuovi media per ritagliarsi uno spazio identitario altrimenti impossibile nel contesto della comunità black.

La finta gravidanza fotografata su People, il queer talk show su YouTube, la capacità di trasformare la diffusione di meme in uno strumento politico e identitario insieme all’occupazione dell’immaginario gaming, gli stessi videoclip, ma soprattutto i concerti.

Dal vivo Lil Nas X ha l’impatto formidabile di un concerto di Beyonce: coreografie impostate al millimetro, props inventivi e spettacolari, il tutto allestito per convergere verso una dimensione unificante che accoglie in un grande abbraccio tutto lo spettro più ampio e sfaccettato delle identità di genere.

Perderlo sarebbe come darla vinta a chi vuole riportarci indietro.

Lil nas X sarà al Lucca Summer Festival il prossimo 20 Luglio 2023 nella storica venue di Piazza Napoleone. Biglietti in vendita su www.ticketone.it dalle ore 11:00 di giovedì 30 Marzo
Info: www.luccasummerfestival.it

Suzanne Vega, il live al Teatro Romano di Fiesole

Uno degli appuntamenti più attesi dell’Estate Fiesolana quello con la cantautrice californiana, ma newyorchese d’adozione e per attitudini.

Esplosa artisticamente a metà degli anni ottanta, quando Madonna e Cindy Lauper aggredivano la scena pop con un’estetica potente che ridefiniva i confini femminili nell’industria discografica, Suzanne Vega mostrava l’altro lato, mettendo al centro una ricercata sottrazione nella scrittura e nella costruzione della propria immagine. Folk già contaminato dalla morfologia più geometrica del pop, il suo si caratterizza per un’attenzione estrema al dettaglio, alle storie minime, alle forme del racconto letterario, al bozzetto cristallino e tagliente.

Luka, uno dei suoi brani di maggior successo, raccontava l’abuso subito da un ragazzino e mostrava formidabili capacità di osservazione, vicine a quelle di una scrittrice.

Cresciuta in un contesto interculturale, passa attraverso una complessa e dolorosa storia identitaria nel riconoscersi e separarsi dalle radici portoricane adottive, un disorientamento che l’ha accompagnata fino a vent’anni, dentro e fuori dai confini dello Spanish Harlem.

Questo retaggio le consente di superare l’ecosistema asfittico della canzone d’amore, per ampliare le prospettive di un sentimento interiore più oscuro e sfaccettato, che spesso nasce dal dolore.

Poetessa urbana, mette in versi i colori cangianti riflessi dalla superficie cittadina e sfrutta l’apparente semplicità dell’ordito per descrivere tutte le manifestazioni dell’esistenza, in un viaggio che spesso illumina paesaggi emotivi sospesi tra onesta crudeltà e speranza.

Il suo primo album pubblicato nel 1985 e intitolato semplicemente Suzanne Vega, nasce parzialmente sotto il segno dell’essenzialità di Leonard Cohen e di Judy Collins, l’eleganza di Laura Nyro ma anche la street poetry di Lou Reed, declinata con una profonda mutazione di sguardo e prospettive, tanto da aprire la strada a tutto il folktelling femminile che sarebbe esploso negli anni successivi, basta pensare a quelle figure artistiche sospese tra autonomia e industria come Tracy Chapman, Michelle Shocked, Shawn Colvin, Edie Brickell, le Indigo Girls.

La produzione di Lenny Kaye del Patti Smith Group e di Steve Addabbo, sodale di Shawn Colvin, infonde al disco un minimalismo originale che si radicalizzerà con il successivo Solitude Standing del 1987. L’album, che ha compiuto 35 anni nel 2022, è un vero capolavoro, per il modo in cui elabora un linguaggio sonoro di transito, consegnandoci un’ibridazione unica che già contiene le sperimentazioni successive sulla forma canzone, portate a compimento insieme a Philip Glass.

Più di Days of Open Hand, terzo e sottovalutato album che introduce l’ultimo decennio del novecento per Suzanne Vega, ci piace citare Songs For Liquid Days, la raccolta di canzoni firmate da Philip Glass e uscita un anno prima di Solitude Standing. In quell’album, Vega condivide la scrittura di Lightning e affida la voce a Janice Pendarvis. Ed è un esempio della meticolosa attenzione al linguaggio della musicista americana. Il miracolo Glass-Vega si ripeterà con un brano come Fifty-Fifty Chance, contenuto nel già citato terzo album, dove le ripetizioni orchestrali arrangiate dal grande compositore inseguiranno la frammentazione emotiva, tensiva e fonetica delle parole, sonda dolcissima e terribile spinta sulla soglia della morte.

Non sarà meno radicale il cambiamento introdotto dalla collaborazione con Mitchell Froom. Dei due album prodotti dal tastierista dei Crowded House, 99.9°F è il più coraggioso. Ad eccezione di Blood Sings, Song of Sand e Private Goes Public, incursioni acustiche vicine addirittura alla forma del 1985, l’album immerge la scrittura di Vega in un crossover elettronico affascinante che sembra andare nella stessa direzione sintetica che affronteranno gli U2 con Zooropa, album uscito l’anno successivo.

Vega cambierà produttore per ogni album seguente fino a Beauty And Crime del 2007, il primo e unico inciso per la prestigiosa Blue Note, per il quale ha ottenuto un Grammy, assegnato a Jimmy Hogarth per la miglior produzione. Si tratta di un disco solidissimo e tradizionalmente inserito nella scrittura della prima Vega, a cui Hogarth infonde una sostanza rock-blues e Americana più decisa. Vega si conferma come una narratrice di classe, capace di passare da un registro all’altro con abilità e profondità.

I due ultimi album della grande musicista americana entrambi prodotti da Gerry Leonard, proseguono solo parzialmente il discorso. Tales from the Realm of the Queens of Pentacles riafferma le intuizioni del precedente con sonorità più aspre e dirette, mentre Lover, Beloved: Songs from an Evening with Carson McCullers del 2016, dedicato alla scrittrice americana più amata da Vega, è opera ambiziosa e ispiratissima che ha assunto, durante il suo sviluppo, una dimensione transmediale tra teatro, poesia e cinema.

Ed è proprio con Gerry Leonard che Suzanne ha compiuto un ampio tour celebrativo, culminato il 10 marzo del 2022 con una dedica intensa alle sofferenze del popolo ucraino. Sul solco di due brani dal suo repertorio, Rock in This Pocket (Song of David) e Song of Sand, entrambe war songs diversamente concepite, ha improvvisamente dato alla luce Last train from Mariupol, comparsa nella setlist alla fine di settembre di quell’anno. Scritta il giugno precedente ed eseguita in duo con Leonard, è diventata un video estemporaneo, girato da Vega nella forma del ritratto intimo nella camera d’albergo dove alloggiava a Parigi, in occasione delle tre date fissate alla Cité de la musique.

Definita come filastrocca a partire dalla struttura e dalle liriche, come scrivevamo è l’immagine dell’assenza di Dio restituita dalla cruda realtà di un report giornalistico di guerra, suggestione che la cantautrice trasforma con il suo consueto metodo poetico, nella presenza di Dio stesso sul treno, mentre lascia la propria terra insieme al popolo.

An intimate evening of songs & Stories è il titolo dell’evento che andrà in scena nella cornice del Teatro Romano di Fiesole il prossimo 14 luglio alle 21:15.

Per Suzanne Vega non c’è divisione netta tra le due, esattamente come il diaframma tra racconto e verità.

Il palco sarà ancora una volta condiviso con Gerry Leonard, in un dialogo tra acustico ed elettrico, jam e struttura. Sarà un’occasione unica per ripercorrere nel modo più diretto ed essenziale la qualità della sua scrittura, da Marlene on the wall a Solitude Standing, da Left of Center a I Never Wear White, fino all’omaggio destinato a Lou Reed con un’intensa versione di Walk on the Wild Side che per il momento non è mai mancata durante i bis degli ultimi concerti. Non vediamo l’ora.

I biglietti per il concerto sono venduti per quanto riguarda il primo settore a 28,75 euro, mentre il secondo settore è a 23 euro. Sono disponibili sul sito ufficiale www.estatefiesolana.it, sul circuito www.ticketone.it (tel. 892.101) e nei punti Box Office Toscana (www.boxofficetoscana.it/punti-vendita – tel. 055.210804).

[Immagini e Materiali stampa forniti da Ufficio Stampa dell’Estate Fiesolana – Marco Mannucci]

Il Cloro – Waq Waq: il videoclip in anteprima esclusiva

Ur Suoni è una delle realtà underground più vitali e originali del paese.
Il roster dell’etichetta apolide fiorentina si è notevolmente arricchito, annoverando collaborazioni illustri anche nell’ambito degli eventi promossi dalla label. Dal compianto Mark Stewart fino al collettivo Nyege Nyege di Kampala, i nostri stanno costruendo una rete creativa che riscrive i parametri del punk incorporando suoni e ritmi dal sud del mondo.

Tra le acquisizioni più recenti anche quella de “Il Cloro“, che abbiamo già ospitato qui su indie-eye con la documentazione video realizzata durante uno dei primi eventi messi in piedi da Ur Suoni.

Waq Waq” è il brano che anticipa il nuovo album del ravennate Fabrizio Baldoni. “Acquarius” uscirà per Ur Suoni a Settembre e per l’occasione presentiamo in anteprima esclusiva il videoclip messo insieme dallo stesso Baldoni.

Waq Waq è poliritmia percussiva e sample acustici – ci ha detto Fabrizio – M’bira, vibrafono, flauti in una danza tropicale, divertita e aliena. Il brano è accompagnato da un video tratto dal documentario di Charles Fairbanks “Flexing Muscles” (2019) dove due lottatori di wrestling messicano combattono riprendendosi con una go pro

Il risultato è notevole

Il Cloro, insieme a Bestilla e al Dj Set di Zé Caveira, farà parte dell’evento che si terrà al Lumen di Firenze il prossimo Sabato 15 luglio.

Lo showcase sarà il veicolo per presentare il primo progetto multimediale prodotto da Ur Suoni, intitolato “Fujire è vergogna” (libro) + “Vergogna” (compilation). Combinazione tra letteratura e musica, che mette insieme le musiche degli artisti Ur Suoni con i racconti scritti da Gianni Romano, usciti lo scorso maggio per Catartica Edizioni nella collana Hic Nos. Romano, siciliano di nascita, ma fiorentino d’adozione, è scrittore attivo in vari ambiti. Il suo “Fujire è Vergogna” racconta l’evoluzione e la mutazione della città di Gela, attraverso una serie di racconti che descrivono la morte del contesto industriale e la voglia di riscatto dei suoi abitanti. Ogni racconto è associato ad una traccia della compilation “Vergogna”, con gli artisti UR Suoni.

L’evento, che trovate su facebook da questa parte, sarà una combinazione di live, reading e Dj Set.

Kalush Orchestra, l’intervista al produttore Stanislav Smyrnov @ Berlin Music Video Awards

L’edizione 2023 dei Berlin Music Video Awards, una delle più prestigiose kermesse europee dedicate ai video musicali, si è conclusa il 17 giugno scorso. Tra i riconoscimenti assegnati, anche quello relativo alle opere che hanno il coraggio di spingere oltre i confini e gli standard delle produzioni video.

Questi confini hanno parametri estetici, semiotici, ma anche politici, soprattutto perché i videoclip spesso veicolano contenuti totalmente esclusi dai media mainstream. Tra i video segnalati in tal senso anche l’ultimo degli ucraini Kalush Orchestra, già vincitori dell’Eurovision Song Contest 2022, che oltre a questa collocazione, era candidato per la miglior fotografia.

Changes” è diretto da Leonid Kolosovskyi, con la fotografia di Nikita Khatsarevich e la produzione di Stanislav Smyrnov, quest’ultimo attivo in lungo e in largo nell’industria dei video musicali ucraini, tanto da poter esser considerato come un nome di punta nel contesto internazionale.

In collaborazione con BMVA, indie-eye ha prodotto una video intervista con Stanislav Smyrnov, ideata da Michele Faggi e condotta da Noémi Berkowitz, con le riprese in location curate da Alpertti Korhonen

La video intervista, post prodotta da indie-eye, è sottotitolata in lingua italiana

Da questa parte la pagina con tutti i premi assegnati ai BMVA 2023

Kraftwerk live all’Anfiteatro delle Cascine: uno splendido dancefloor techno-futurista

Geometrici e visuali, ma altrettanto potenti e da dancefloor. Il pastiche futurista dei Kraftwerk dialoga ancora con il futuro e trasforma note onomatopee nella parodia della nuova musica generativa. Coinvolgenti e visionari. hanno conquistato la cavea dell'Anfiteatro delle Cascine a Firenze. Il report del concerto

Per chi non fosse mai stato all’Anfiteatro delle Cascine intitolato alla memoria di Ernesto De Pascale, sarà utile ricordare che la struttura creata negli anni settanta e rinnovata intorno ai dieci del nuovo millennio, é immersa nel verde, con la cavea costruita tutt’intorno alla scena. Per raggiungere il palco, gli artisti scendono lateralmente lungo una stretta gradinata a picco e seminascosta da alberi e cespugli. 

Vedere i Kraftwerk comparire in quella striscia di verde dopo gli ultimi bagliori del crepuscolo, inguainati nelle loro tute illuminate da circuiti, dava la sensazione di un piccolo irripetibile evento nell’evento.

Sembrava di assistere ad un’invasione aliena, dopo un atterraggio di fortuna ai margini di una citta.

Il quartetto tedesco sfrutterà in forma parodica questa suggestione, durante la versione live di Spacelab, dove un viaggio interstellare in soggettiva si concluderà con l’approdo di un astronave All’anfiteatro De Pascale, dopo una ricognizione sul panorama fiorentino. 

Una retro proiezione giocosa e dadaista, parte dell’imponente contributo visual che accompagna tutti i brani del concerto e che rielabora temi, artwork e immaginario grafico lungo tutta la discografia dei tedeschi. 

Questa continua oscillazione tra modernariato retro futurista e folgorazioni predittive, costituisce il gioco di incorporamenti che i Kraftwerk hanno immaginato per i loro live, nel continuo dialogo sinestetico tra arte visuale digitale e i suoni sintetici di un’elettronica in costante mutazione. 

Può allora far sorridere quel personal computer che fluttua sullo sfondo durante It’s More Fun to Compute / Home Computer direttamente dall’artwork originale di Computer World, mentre una legione di smartphone si attiva per filmare, ma é il nostro stesso specchio indietro nel passato, mentre viene assegnato alla platea il ruolo di un esploratore che ammira i relitti di una tecnologia obsoleta.

I quattro Kraftwerker coordinati da Ralf Hütter, dopo il viaggio lungo il ripido sentiero che strappa al pubblico un boato di meraviglia, prendono posizione dietro alle simmetriche consolle perfettamente inscritte nella scenografia.

Il setting minimale è ormai una costante da tre lustri e ha sostituito i Minimoog e altra strumentazione “pesante”, adattandosi progressivamente all’era dei VTS, ovvero gli strumenti virtuali emulati con la combinazione di software e controller midi.

Dentro quelle eleganti postazioni che imitano l’area di comando di un viaggio astrale, ci sono laptop, tablet, piccole tastiere che interagiscono con i software della Native Instruments, come Reaktor o Maschine Mk1, le cui capacità di emulazione dei suoni analogici che hanno fatto la storia di certa elettronica, sono infinite.

Tra DAW e Midi controllers c’è anche spazio per i visual. Nella sera fiorentina controllati probabilmente da Georg Bongartz, uno dei fantastici quattro, che nei concerti più recenti ha sostituito lo straordinario Falk Grieffenhagen. Difficile dirlo con certezza, perché gli uomini macchina non dialogano con il pubblico se non a gesti, seguendo un’iconografia suggestiva e rigidissima che ha caratterizzato i loro show sin dall’inizio.

Questa estrema virtualizzazione dell’elemento musicale, rende i visual parte integrante e fondamentale del live. Lo schermo piazzato all’Anfiteatro delle Cascine accoglie proiezioni molto simili a quelle del software Dataton noto come Watchout™ che è stato utilizzato dai Kraftwerk per le sue potenzialità interattive, a partire dal tour 3D che fu allestito anche al Teatro Dell’Opera Fiorentino, dove agli spettatori veniva fornito un set di occhiali per vivere un’esperienza immersiva.

Non è questo il caso della serata fiorentina en plein air, dove l’immersione è di natura diversa, perché incorpora una scena tecnologica circoscritta, entro una cornice naturale che riverbera luci e mantiene fortunatamente, l’esperienza del live più fisico.

Lo ha dimostrato la selezione dedicata a Tour De France, che includeva oltre alla title track, anche Prologue e la sisto-diastolica Chrono, ovvero la fase del duo che passa dall’electro a forme clubbing più esplicite. In questo preciso momento una parte consistente del pubblico fiorentino si è alzata dalle sedute numerate per occupare sulla destra del palco, una sezione ancora libera del pit. E ha goduto la fisicità della danza fino agli episodi successivi che pur incorporando due classici come Trans-Europe Express e The Robots, non ha perso quella particolare attitudine.

I classici vengono quasi sempre rivisitati nei live del combo, e in questo caso la triade che promana dal sogno ferroviario e futuribile ispirato al progetto Schienenzeppelin, include Metal on Metal e Azbug, declinate in una versione industrial-techno davvero potente. Questa fa il paio con la grafica dei visual, le cui linee scompongono la figurazione del rotabile in una fantasia astratta che sconfina nella rilettura optical.

Il pubblico si scatena e non basta The Robots a placarli, perché Planet of Visions, il singolo registrato originariamente dal vivo, 19 anni fa al Križanke Outdoor Theatre di Ljubljana, erompe subito dopo inesorabile con tutti i riferimenti che erano serviti ai Kraftwerk per riprendersi l’imprimatur della Techno di Detroit, il cui genoma passa anche da loro.

Per altri episodi, come Radioactivity e The Model, scelgono una dimensione maggiormente celebrativa, con i visual che recuperano gli storici videoclip. Mentre The Man-Machine, viene sfruttata per un’elaborazione sinestetica, dove gli elementi che caratterizzavano artwork, grafiche e outfit del 1978, vengono scomposti e ricomposti in una fantasia visual che suona letteralmente il brano e lo libera totalmente dall’effetto nostalgia.

Impostazione chiara sin dall’inizio, dove It’s More Fun to Compute e Home Computer trasformano le intuizioni grafiche originali in una versione satura di colori della pixel art, vera e propria reinvenzione della musica cromatica di Ginna e Corra.

Del resto, arte e anti-arte, Futurismo, Dadaismo e molto delle avanguardie del 1920 hanno nutrito l’immaginario Kraftwek a lungo. In questo caso le grafiche di Karl Flefisch e Günther Fröhling, a partire dalla stessa tavolozza di colori e dalla scansione dello spazio su diagonali e prospettive, rilegge lo stesso dinamismo. Il costruttivismo, negli esempi originali veniva a sua volta rielaborato con le strategie del pastiche, mentre nel set live, l’uso della ripetibilità dei motivi e la loro moltiplicazione, esplode nelle possibilità delle motion graphics, a conferma di un dialogo tra passato e futuro che è ormai ri-mediato da moltissimi videoclip.

Eppure, la forza dei Kraftwerk è proprio quella di rimanere sempre un passo indietro per raccontare anche lo sgomento di fronte all’abisso spalancato dalla tecnologia che ci aspetta. Lo dimostrano una serie di episodi provenienti da diverse fasi della loro discografia e qui presentati con rielaborazioni tra tenerezza e parodia. Ci riferiamo ad Autobahn, con la Volkswagen in partenza e l’autostrada ridisegnata secondo i codici del gaming di vent’anni fa; ma anche a Computer Love, dove la rappresentazione grafica di un file audio dialoga direttamente con la nuova declinazione disco-rave del brano, mentre la dominante rosa shocking dei visual invade la postazione dei nostri quattro Kraftwerker.

Ed è quindi una sintesi perfetta la chiusura del live, con la triade Boing Boom Tschak / Techno Pop / Music Non Stop, tutta dedicata ad Electric Cafè del 1986.

Il primo episodio ricombina visualmente lettering fumettistici delle tre note onomatopee, recuperando un’estetica bitmap ferma appunto ai primi anni novanta. Allo stesso tempo, sorprende e atterrisce quella semplice linearità con cui la parola e il fonema, producono musica generativa nello stesso modo con cui Techno Pop e Music Non Stop sono state composte sfruttando le tecnologie text to speech.

Mentre il pubblico continua a danzare, in questa ultima parentesi fumettistica c’è tutto il fascino e il suo contrario, nell’attesa di un futuro ricco di possibilità e insidie.

Rigidissimi nel replicare scalette pressoché identiche show dopo show, in una venue dove uscire di scena non è così immediato e rappresenta l’intro e il prosieguo dello spettacolo, i quattro lavoratori elettrici non possono far altro che esitare e sciogliersi di fronte all’incredibile calore che il pubblico fiorentino ha loro restituito.

Non hanno alcun bis in canna, ma rimangono li, con tutine così simili a quelle utilizzate per le prassi di motion capture, come ologrammi improvvisamente disorientati.
Dovranno risalire il sentiero silvestre, meglio attendere e prenderseli tutti quegli applausi.