Non è un caso che i Barberos abbiano condiviso il palco con artisti del calibro di Melt Banana, Tim Exile, Liars, Charles Hayward dei This Heat e molti altri. Il loro jazz-core contaminato con elementi “matematici” ma non troppo, viene fuori da una line-up tra le più bizzarre e radicali in circolazione: due batterie, synths di derivazione progressive lanciatissimi e voci effettate.
Non sembrerà allora strano che una traccia come The Return of the Ladius, posta in apertura di questo lavoro suggestivo, metta insieme i Trans Am più ossessivi e carpenteriani, con il drumming dei Ruins per poi sfociare nell’ambiente sonoro del Tony Banks di Nursery Crime.
È una formula che tiene in piedi tutto il lavoro di questo trio da Liverpool, ma che si complica strada facendo con uno spirito caotico e terrorista che disperde a poco a poco qualsiasi riferimento riconoscibile.
Si prenda una traccia come Timur oppure la più giocosa Akropolis, entrambe tramutano la propensione per il groove e i barocchismi di ascendenza prog (vengono in mentre a tratti i primi Fish & Roses di Sue Garner e Rick Brown) immergendoli in una tessitura decisamente noise, tutta distorsioni, poliritmie e assalti sonici.
Ci fosse un riferimento omnicomprensivo per parlare della loro musica, sarebbe necessario parlare di una strana fantascienza, vicino a certe suggestioni letterarie degli anni settanta e all’arte combinatoria di Michael Moorcock, mente aperta della terra d’albione.
Deliranti e divertenti allo stesso tempo e dalla navigata esperienza live, i Barberos è possibile goderseli al massimo davanti ad un palco
Barberos – album 2016 – teaser