Almost Transparent Blue è uno dei romanzi più brutali di Ryū Murakami. Sesso, droga e rock’n’roll in una città portuale del Giappone con una base militare americana ad un tiro di schioppo.
Romanzo senza plot, indugia sulle descrizioni e le sensazioni di violenza come se la scrittura fosse posseduta da un flusso esperenziale allucinogeno.
Questo aspetto deve aver influenzato per forza la musica di Bjorn Magnusson, qui al suo debutto con il proprio nome, ma già attivo dietro la sigla Great Black Waters, con la quale ha fatto uscire una manciata di ballad sghembe lungo due pubblicazioni e qualche sette pollici.
“Almost Transparent Blue” recupera tutte le suggestioni psych folk dei precedenti lavori, declinandoli con maggior concisione nella scrittura e lavorando di cesello sulla struttura delle canzoni. Ci fosse stato Alan Mcgee alla produzione, avrebbe potuto ottenere risultati eccellenti da questo piccolo autore visionario, capace comunque di stupire con più di un episodio, sopratutto quelli che si smarcano dalla retorica britannica per guardare con più forza a certe forme noise fine anni novanta, tra tutte, quelle che ricordano i Royal Trux più dopati e deraglianti.
Magnusson, rispetto a Neil Hagerty guarda con meno interesse agli Stones e sembra abbacinato dalle ballad elettriche e narcolettiche di Neil Young, in questo senso un brano come The Heat, oltre ad essere un piccolo capolavoro, è assolutamente paradigmatico e rappresenta una delle cose migliori dell’album, insieme ad altri episodi più pop e al netto delle intermission strumentali che forse indeboliscono il risultato complessivo.
Ad accompagnare l’album una serie di video sperimentali a bassa definizione, realizzati probabilmente in video 8 o in vhs, o forse anche in super 8, non ha importanza, è l’allure che conta e lo spirito di una deriva nel suo manifestarsi, perfetti per la musica di questo autore da tenere assolutamente d’occhio.
The Heat, Bjorn Magnusson – videoclip