Francesco Bertoletti ha messo insieme una super band dalla formazione tutto sommato eterogenea che per attitudine e in certi casi anche per scelte estetiche, ricorda il rock italiano tra folk e tentazioni progressive degli anni settanta. Il brano d’apertura ma anche altri episodi come la stessa title track, si portano dietro un retroterra che dalla PFM, passa per il racconto popolare di Guccini, il metissage di Banda Bardot, ma anche il combat folk di Gang e Les Anarchistes.
Si cambia parzialmente registro quando la scrittura diventa più intimista anche a livello di scrittura poetica; in questo caso il folk diventa minimale e forse anche per la dizione di Bertoletti, memore di formazioni come Yo Yo Mundi che allo spirito verace del punk univano sapientemente il folk anglofono, in una rilettura tutta italica e alcolica.
Nel sangue di Bertoletti scorre forse meno vino rispetto alle vene della band di Acqui Terme, con la sua musica cerca di infondere una maggiore positività umanista, talvolta molto vicina all’afflato universalista del primissimo Gen Rosso, riferimenti cristiani a parte.
C’esco e i suoi musicanti recuperano quindi una tradizione di strada che ancora rimane viva nei festival come Mercanzia, dove i buskers si incontrano e jammano senza distanze e distinzioni di genere, cercando nello strumento comunicativo del folk la forma di un sincretismo sonoro che evidenzia più il punto di contatto rispetto alle dissonanze. Semplicemente vivi, senza distanze dal mondo.