Sceglie l’introspezione Cristiano Furnari e lo fa attraverso gli strumenti del racconto cantautorale, ma affrontandolo con sonorità che non guardano necessariamente al passato e alle radici. I suoni di “Abusivi sognatori” sono quelli del pop internazionale, qui al servizio di una visione generazionale che spia il proprio passato prossimo come se non ne fosse il legittimo attore. Sono storie minime quelle vergate dal musicista romano che raccontano il disagio di vivere, i progetti abortiti, i sogni infranti dove in modo totalmente indiretto emerge il quadro di un paese che non riesce ad amare i propri figli, aspetto squisitamente politico senza esserlo esplicitamente. È il filtro dei sentimenti che consente a Furnari di raccontare il rapporto tra vita e comunità.
In questo senso, “Non raccontano di noi” è forse il brano più peculiare sia da un punto di vista sonoro che strettamente letterario. Siamo immagini sbiadite, rinasciamo nelle storie che raccontano un altro tempo, dice Furnari, mentre le chitarre evocano un paesaggio sonoro vicino al folk di un’America immaginata. E i suoni sono sognanti anche in “Pellicole” dove l’immagine cinematografica diventa una reverie malinconica; Furnari ci dice che l’unica via possibile, per tutti i sognatori abusivi, è quella delle pareti di un sogno, mentre la città di periferia tutta intorno non da segnali di vita.
Furnari ha una buona capacità di controllare gli elementi di questi affreschi minimi e intimi, l’album ricorre ad alcuni arrangiamenti che cercano di smarcarsi dalle forme minimali del cantautorato più tradizionale, immaginandosi un’ambiziosa orchestrazione (nello stesso “Pellicola” per esempio), colonna sonora dei nostri giorni.
Cristiano Furnari – il video di Sopravvissuti diretto da Simone Durante