In quello che sembra finora il loro lavoro più definito ed equilibrato, gli Enon si divertono a sporcare con accenti noise delle perfette canzoni indiepop.
Nell’alternanza del cantato maschile-femminile la voce di Toko Yasuda è più lollipop ma meno eterea: da un lato centra l’immaginario, anzi lo stereotipo, delle vocine nasali da karaoke, ma dall’altro ben si adatta all’economia delle canzoni di matrice prettamente postcore.
Alle atmosfere retro-pop da fine millennio e alle ballad un po’ insipide ci vuole un limite. E’ necessario un ritorno alla schiettezza dei Brainiac. Nel quinto lavoro degli Enon traspare l’intenzione di dar valore all’essenzialità; una scelta che appare vincente, poiché nei quaranta minuti scarsi di Grass Geysers …Carbon Clouds non vi sono episodi minori o canzoni dimenticate ancora prima di concludere l’ascolto del disco.
Una volta stabilito il contesto entro cui muoversi, gli Enon costruiscono un collage curato di chitarre intelligenti e basi ritmiche che sanno aprirsi al momento giusto alla melodia.
Si va dal potenziale singolo “Sabina” dove però è la strofa e non il ritornello a farsi ricordare, a “Those Who Don’t Blink” con richiami al punk’n’roll anni Sessanta (non è vero, a me vengono in mente i Trans Megetti), ai testi monosillabici cari ai Blonde Redhead (“Pigeneration”), passando per una bomba mid-tempo come “Mr. Ratatatatat”.
Ritrovato il focus, non c’è nulla che non funzioni: proprio un bel disco.