Americana. Un termine e un genere facilmente fraintendibile. Spesso confuso con l’alt country tout court, è in realtà un oggetto ibrido e assai soggettivo, che accoglie le radici eterogenee di un paese apolide e gli Espada, pur vivendo da questa parte dell’oceano, lo sanno benissimo.
Il quintetto di stanza a Foligno e guidato da Giacomo Gigli è artefice di una bella miscela sonora proveniente dal calderone di cui sopra. Se da una parte alcune ballad sospese e vicine alle influenze tex mex fanno pensare all’eredità ingombrante lasciata negli ultimi trent’anni da Joey Burns e Howe Gelb, i nostri sono maledettamente colti per far reagire tra di loro altri elementi.
L’alternanza di ballad più roots con episodi dal tasso alcolemico elevato fanno pensare anche al desert rock più aspro di Thin White Rope ma anche a Mark Eitzel quando forzava le corde vocali nella disperata “Bad liquor”. E proprio i primi American Music Club sembrano un nume tutelare importante per gli Espada, nel rilevare quel confine tra country e “ambient”, una descrizione del paesaggio non così banale e non sempre aderente alla tradizione in modo pedissequo.
Gigli è accompagnato da MS, Leonardo Pucci, Joe Rehmer e Rocco Zulevi. Insieme, gli Espada dimostrano di aderire in modo colto e preciso ad un modello, ma di saperlo confondere con una serie di elementi che vanno dal surf al noise rock. Invidiabile disinvoltura che ingannerebbe chiunque sulla loro provenienza.
Espada – Hard Times excerpta