Gardens & Villa giungono al loro terzo album dopo essersi definitivamente stabiliti da Baltimora a Los Angeles. Della formazione originale rimangono solo Chris Lynch e Adam Rasmussen. Affascinati dal ruolo della tecnologia nelle nostre vite, sopratutto in termini di progressiva deperibilità dei supporti, il duo dice di essersi ispirato in parte alla serie televisiva Black Mirror per la scrittura di Music for dogs, in particolare concentrandosi sulla relazione amorosa ai tempi dei social media, per Gardens & Villa irrimediabilmente mutata e compromessa.
Il suono del nuovo lavoro si avvicina più agli esordi che al recente Dunes e introduce l’immagine di una Los Angeles iper-tecnologizzata sin dalla prima traccia, Maximize Results, esempio di punk retro-futurista più aspro rispetto al synth pop ottantiano che ha sempre contraddistinto il suono della band, qui impegnata a recuperare lo spirito no wave del primo Brian Eno, influenza che innerva tutto Music For Dogs grazie anche all’utilizzo del piano trattato, memore dei suoni del musicista britannico fino a Before and after science; si ascoltino a questo proposito tracce come Everybody e Jubilee e la commovente Alone in the city, elegia urbana oscura e crepuscolare che individua nella fuga dalla città cablata, l’unica possibilità di sopravvivenza: ““This place is a nightmare, when I can’t be right there in your arms.” Stessa necessità di ripristinare il contatto umano in Happy Times, brano enigmatico con una coda mariachi che sembra catturata per la strada durante la performance di qualche musicista ambulante.
E il contrasto tra claustrofobia e spinta centrifuga si sente lungo tutto l’album, quasi fosse un tentativo di staccarsi dalle influenze pop del passato, rilanciandole in una dimensione nuova, più dialettica e politica che risente sicuramente delle condizioni in cui il duo ha registrato l’album, assorbendo le pressioni dell’etichetta ed interpretando la nuova location (una vecchia autorimessa losangelina trasformata in studio) come un’occasione per interrogarsi sulla pervasività del linguaggio tecnologico nei rapporti e nella produzione musicale stessa. Ne viene fuori uno strano ibrido tra coolness, psichedelia visionaria e il tentativo di dare nuovo calore alle geometrie pop agganciate ad uno schema ripetibile.
Al di là delle occorrenze e delle intenzioni, Music for Dogs è certamente il lavoro più coeso dei Gardens & Villa, ancorati comunque ad uno stile (i synth, il falsetto, gli anni ottanta, la propensione melodica) che non viene meno e che in un certo senso rischia più di una volta di arenarsi entro territori già battuti. Nonostante questo si tratta di un album onesto ed emozionale, che come tutti i lavori di transizione imbocca soluzioni stimolanti e coraggiose nel tentativo di smarcarsi dal peso del passato.