Kelley Stoltz ha assunto un piccolo status di culto grazie a quella filosofia DIY che quasi sempre permette lo sviluppo di una mitologia di facile assorbimento da parte dei media in cerca di un genio digeribile e dalla faccia pulita. Nel 2001 Kelley si registra Antique Glow nel suo appartamento, autoproduce la stampa del vinile, dipinge la copertina a mano e pianifica una distribuzione di qualche centinaio di copie che gli frutterà l’attenzione di riviste come Mojo qualche anno dopo. Kelley Stoltz non è Red Hunter ed è probabilmente anche per questo che il nuovo corso Sub Pop investe su di lui, pubblicando nel 2006 la sua terza release, quel Below The Branches che metteva in luce le sue capacità di alchimista pop che non si arrischia troppo al di fuori di illustri e riconoscibili riferimenti. Nel mezzo, un esperimento sottovalutato come Crockodials, remake lo-fi di uno dei capolavori degli Echo And The Bunnymen, giocato sull’esasperazione della bassa definizione e con episodi davvero illuminati, capaci di rinnovare il potenziale oscuro di quelle tracce con gli elementi confidenziali dell’approccio casalingo. Da quelle intuizioni Stoltz ha preferito allontanarsi per costruire una griglia pop più sicura e rassicurante, contenitore che ha il suo punto di arrivo in questo Circular Sounds, in uscita per Sub Pop a Febbraio 2008. La confezione è sicuramente meno modesta e punta su una costruzione più complessa e stratificata degli arrangiamenti, per lo meno in termini strettamente tecnici. Sembra banale dover per forza di cose tirar fuori i Beatles post-Help o tutto il campionario di psych-pop californiano, ma è anche vero che è molto difficile rintracciare intenzioni di altro tipo nelle 14 tracce dell’album. Una manciata di brani si avvicinano ai modelli con il rispetto non troppo iconoclasta del fan, questo quando non si attivano filtri ulteriori che guardano alla lezione recente di Elliott Smith ( su tutte il bozzetto di Tintinnabulation), alla cronometria degli XTC nella riuscita Gardenia, I Velvet e Kinks di the birmingham eccentric, l’Harry Nillsson di put my troubles to speak. Stoltz ci mette del suo quando prende questi elementi e li frulla in un gioco divertito e ripetitivo dalle suggestioni minimali, è il caso della bella To Speak the girl, che esaspera a tal punto la fecondazione Beatles, da strapazzarla come se si trattasse di una serie di samples, campioni di un database combinatorio capace di creare spirali e vertigini sonore; circular sounds appunto. Lasciati quindi da parte i trucchi della memoria, il percorso di costruzione del brano è per Stoltz genuinamente psichedelico, ne sono una conferma le tracce che gli riescono meglio come la lisergica Your Reverie, I Nearly lost my mind brano trascinato da una nenia che fa da sfondo all’impianto piano-chitarra ancora una volta vicino all’ultimo Smith, e la strumentale reflecting che è un piccolo gioiello di potenza cinematica. Tutto il resto è un onesto, cristallino, saggio di scuola pop prodotto dopo anni di studio e passione e un buon risultato durante gli esami.