Avanza caracollando questa strana bestia chiamata Carenne nei tre minuti di Catacatassc’, il brano che dà il titolo e che ci introduce al disco d’esordio della band campana, tra reminiscenze jazzate, quasi manouche, e richiami a mondi diversi e più o meno lontani, dall’America della frontiera ai vicini Balcani.
Mondi che continuano ad incontrarsi e a scontrarsi nei successivi dodici brani dell’album, rivelando l’anima vagabonda della bestia, non solo nei molti riferimenti al viaggio che si ritrovano nei testi (vedi Billy il mezzo marinaio o La vacanza di un ferroviere) ma anche e soprattutto dal punto di vista musicale, rivelando una capacità di sintesi tra linguaggi che è assolutamente invidiabile, così come lo è quella di trovare arrangiamenti freschi e particolari che rendano interessanti praticamente tutte le canzoni. Nel farlo il gruppo segue in parte le orme di Vinicio Capossela (soprattutto nelle ballate blueseggianti e waitsiane come Cadillac o Le cose che desideri, ma non solo) ma trova anche spazio per una propria personalità, in divenire, e non può essere altrimenti in un esordio, ma già abbastanza definita.
Prendiamo ad esempio Jeanne, che inizia proprio come una ballata jazzata e notturna, ma che poi sembra andare verso la luce del giorno inserendo elementi orientaleggianti per poi raggiungere la pace grazie a pochi tocchi di chitarra, come se fosse finalmente arrivata l’alba. Oppure Transkei, che sembra una classica folk ballad impegnata, con riferimenti all’apartheid, ma che riesce ad evitare gli stereotipi del genere puntando sulla semplicità.
Insomma, la bestia ci sa fare e merita attenzione: le quattro teste di cui dispone (Giuseppe Di Taranto, Antonello Orlando, Paolo Montella e Giuseppe Pisano) lavorano molto bene e in armonia e in futuro ci sapranno dare sicuramente delle soddisfazioni. Intanto però godiamoci questo viaggio musicale, lasciandoci trasportare in giro per il mondo senza paura, da est a ovest, da nord a sud, accompagnati da belle canzoni suonate come si deve.