Il nuovo capitolo dei prolifici Mazes arriva ad un solo anno di distanza da un full lenght (Ores and Minerals) e da un mini album (Better Ghosts) attraverso i quali la band di Manchester ha progressivamente cercato di centrare un discorso legato alla rielaborazione della psichedelia britannica facendo confluire nello spazio di quel suono una scrittura più aspra vicina per lo più a certo rock statunitense anni ’90, ad alcune declinazioni lo-fi e anche con alcuni riferimenti ai Can di Tago Mago, nella deriva ripetitiva di alcuni brani e sopratutto nell’utilizzo di un’elettronica di impostazione prevalentemente analogica. Il nuovo Wooden Aquarium è stato quasi interamente registrato in uno studio di New York, indicazione non da poco se si considera che la band guidata da Jack Cooper ha sviluppato i capitoli precedenti in situazioni molto più arrembanti e difficili mantenendo quindi una stretta connessione tra i mezzi impiegati e la volontà di sperimentare con le storture della bassa definizione. Wooden Aquarium suona finalmente molto più potente e deciso rispetto ai capitoli precedenti, sparando immediatamente due brani come Astigmatism e Salford, segno ben preciso che la passione per Donovan, la forma canzone dei Beatles, il songwrting sghembo di Stephen Malkmus, quando sono presenti o riconoscibili, sono al servizio di una forma rock molto più robusta e con una capacità comunicativa eccellente; il primo brano con una base psichedelica ancora percepibile, il secondo con una forza innodica straordinaria che interpreta il suono sixties come se fosse passato al setaccio dei primi Pixies. Intendiamoci, la vicinanza di alcuni episodi ai sessanta rivisti in salsa novanta, come per esempio Mineral Springs, si avvicina molto a quell’ibrido che le Sleater Kinney (incluso il side project “Cadallaca”) si erano già inventate qualche lustro fa, ma quello che è interessante è il recupero di un’eredità molto precisa, eseguito con consapevolezza, convinzione e ci sembra di poter dire, molta passione, tanto da consentire a tutti i brani, nessuno escluso, di funzionare a meraviglia. Cooper attraverso le note stampa tira fuori l’influenza dei Television e l’amore per The Feelies; tutto vero e tutto ben presente in quello che è probabilmente l’album più energicamente elettrico della band mancuniana, ma se si ascolta un brano come Stanford Hill, non possono non venire in mente i Felt di “Ignite The seven cannons”, un po’ perchè gli arpeggi saturatissimi fanno pensare al modo in cui Maurice Deebank suonava la chitarra e un po’ perchè il combo di Birmingham, già nei primi ottanta, dichiarava la propria vicinanza a Tom Verlaine sposando quel suono ad un’idea personalissima e visionaria di psichedelia. L’album americano dei Mazes, suona ancora molto inglese e ci piace molto; ci auguriamo che da questo momento in poi faccia fare molta strada a Jack Cooper e soci.