Torino è una città apolide. L’innesto è nella sua fisiologia, a cominciare da quella architettonica. Se aggiungiamo le manifestazioni esoteriche della visione, il dado è tratto. Okland è un trio dalle diverse provenienze e background, unisce l’attenzione agli strumenti acustici suonati all’elaborazione elettronica. Oltre alle percussioni, alle batterie “vere” e alle voci, aggiungono chitarra e un cordofono dell’africa occidentale, la Kora. Su questo tessuto dalle reminescenze world viene innestata l’inorganicità dei synth, trattati in modo cronometrico, pulsante, quasi a tracciare una rilettura contemporanea dei paesaggi urbani disegnati dalla musica di John Carpenter. Ma è lo strato etnico che fa la differenza nella musica degli Okland. Senza che le incursioni “world” propendano per un esotismo alla Kytaro, si rimane ben saldi sul terreno di provenienza, quello di una club culture visionaria e aerea. L’Ep si chiude con un brano maggiormente legato al trip hop e alle sonorità chill out; Dive vede il contributo vocale di Deb ed è una ulteriore apertura sensuale che preannuncia interessanti sviluppi emozionali. Gli Okland, insieme alle recenti uscite di Charo Galura, Kick_, Handlogic, segnalano una rinascita elettronica tutta italiana, che guarda agli anni di una certa rebirth of cool, così come al trip-hop, aggiornando quelle intuizioni con una lettura legata alle nuove espressioni della club culture. Si potrà finalmente dire che la strada aperta dai superbi Amycanbe in tempi non sospetti, sta cominciando a germogliare.