Giunto in redazione in copia fisica, la diciottesima delle 100 disponibili (cosa che apprezziamo molto), River of Gennargentu torna a suonare da solo, dopo l’esperienza condivisa Black Lodge Juke Joint, che al blues delle origini aggiungeva una sana attitudine punk, con la voglia di suonare qualsiasi cosa in qualsiasi contesto. Il musicista barbaricino sottrae ancora di più, riduce all’osso e si avvicina quindi al blues più grezzo, quello ai limiti con l’improvvisazione, intimista e legato al flusso di coscienza personale così come era per musicisti come Skip James o John Hurt. Il set è crudissimo, chitarra acustica, una voce sofferente e una chitarra autocostruita sul modello delle cigar box guitar, gli strumenti simbolo del Delta blues, realizzati con materiali di fortuna e fondamentali per restituire quel senso di precarietà sonora che non poteva quasi mai essere uguale a se stessa.
In questo senso, River of Gennargentu canta una lingua difficile come quella dei Delta bluesman, ma allo stesso tempo, nell’approssimazione della registrazione, nello spirito filologico con cui affronta la musica, si porta dietro un pezzo della sua terra, ricordando l’incedere aspro di strumenti come la Serraggia e la descrizione di un paesaggio difficile ma totalmente soggiogato dalla potenza della natura, vero e proprio specchio per l’anima blues.