Dopo una manciata di singoli giungono finalmente all’album di debutto The Early Years, formazione nata dall’impulso del londinese David Malkinson che, orgogliosamente, rivendica la paternità di un progetto nato per essere “qualcosa di diverso, qualcosa che non fosse parte di una scena”. E difatti, anni luce lontani dalle pose del mainstream britannico, The Early Years sono subito entrati nelle grazie della Beggars Banquet che oggi pubblica il loro primo album omonimo. Dieci tracce in bilico tra psichedelia e pop: cariche di suoni e riverberi, eteree ma sanguigne al tempo stesso, le canzoni del trio inglese indugiano spesso su parti strumentali intense e ripetitive che si intrecciano con le parti vocali a formare un unico e denso impasto sonoro secondo gli stilemi tipici di certo shoegazing. Particolarmente indicativa in questo senso è l’iniziale e già singolo “All Ones And Zeros”, cavalcata acid-pop ricca di effettistica, così come la splendida “The Simple Solution” che pesca a piene mani dal serbatoio sonoro degli anni ’90. Solo apparentemente più gentili nelle ballate, The Early Years convincono con la velvettiana e mesmerica “Song For Elizabeth”, con i suoi quasi nove minuti di dilatazione a base di chorus e distorsioni, mentre nella conclusiva “This Ain’t Happiness”chiudono con grazia e malinconia in odore di Red House Painters. È singolare come “The Early Years”, pur traendo ispirazione da un background facilmente riconoscibile, riesca ugualmente nell’intento di suonare “diverso”. Una boccata d’aria fresca – e non solo all’interno del panorama brit.