L’Ostro, il vento di mezzogiorno, che prosciuga l’aria e secca la gola; che sa di Africa, di Mediterraneo in calore. Gioele Valenti (Herself) e Nicola Giunta gli rendono omaggio, conducendo in un limbo notturno di lisergie desertiche; di sincretismi psichedelici, tra pulsare etnico e spazialità kraut; umoralità settantesche e sensazioni prettamente indie: in una sintesi di stimoli che, tra infinite divagazioni concreto/ambientali e porzioni di armoniche devianze 60’s pop, stende uno spazio virtuale in cui l’accesso al cosmo non sta più solo “su in Germania” ma ha una porta corrispondente nel Kalahari. Tanto che l’antico popolo delle stelle , beneficia a proprio tributo, di un nervoso raga mediorientale a cantarne le origini (The Ancient People Of The Stars, appunto) e le anime perse vagano in un deserto galattico di bassi rotolanti e flauti in loop, mentre la voce si dispone in modalità Lennon Sgt.Pepper (Desert Of Lost Souls). Una corsa interstellare a dorso di cammello avanti e indietro nel tempo, dove gli Animal Collective (Something Wrong) ritrovano i numi Can e Faust (We Are You) e gli El Guapo sposano l’esotismo dei Tri Atma (Overmind), se non le meccaniche degli Harmonia (l’eponima The Lay Llamas); superando i limiti strettissimi della risibile denominazione New Occult Psichedelia, per ridefinire un’idea di indie totale che dal centro dal mare nostrum ha conquistato il mondo sotterraneo, con conseguente tour per l’Europa e set optical da Pink Floyd post rock e accasandoli presso quei freakettoni dell’inglese Rocket Recordings, che di queste cose se ne intendono