The Letter Yellow sono un combo di Brooklyn al loro debutto, costituiti da Randy Bergida (voce, chitarra, synth), Mike Thies (batteria, percussioni), e Abe Pollack (basso, lap steel, synth), nascono in versione embrionale nel lontano 2009 grazie all’incontro tra Bergida e Thies per la registrazione del disco solista del primo, intitolato Firebug, allargando dopo qualche anno alla partecipazione di Abe Pollack e scrivendo “walking down the streets” che si delinea nelle intenzioni e nello stile come un vero e proprio omaggio alla città di New York, travelogue di Randy Bergida che parte da Bleecker St, passando per Hope St, United Palace ad Harlem, Port Authority vicino a Williamsburg e infine Coney Island.
Se quindi i testi di Bergida fanno da collante per un vero e proprio racconto in movimento, il suo stile vocale sembra in buona parte debitore della malinconia Morriseyana, con alcune interferenze che passano attraverso il multiculturalismo e l’afrobeat addomesticato di Paul Simon. Il tentativo è quello di mettere insieme una serie di stati d’animo che appartengono alla città di New York, cercandone anche di mutuare un certo storytelling legato alla musica pop tra gli ottanta e i novanta, e riproducendo lo stile sonoro di certi club, parlando di solitudine, amore, perdita di se stessi nel caos cittadino.
Il racconto dei colori della city, al di là dell’apertura elettrica, quasi un sadcore alla Pedro The Lion ma molto più pop, lascia spazio ad una manciata di ballad malinconiche e a due episodi eterogenei, come il funk-disco elettroacustico di Hope Street, il Rock’n’roll di 14 Bar Blues e come si diceva, qualche spruzzatina afrobeat qua e la le cui asperità vengono ammorbidite dal languore romantico di Bergida che sembra riferirsi più al modello di un Dave Matthews molto meno tecnico, che non ai primi Talking Heads. In generale, sembra che le intenzioni di The Letter Yellow siano quelle di puntare ad una riconoscibilità di massa, cercando di scavare quello che ancora si può negli inni di tutto quel pop (dai Coldplay in giù, anche se c’è chi, senza alcuna vergogna, ha parlato di Fleet Foxes e Grizzly Bear) che rischia da un momento all’altro un pericoloso anonimato di fondo.