È una fanfara in pompa magna quella dei Lumineers ospiti del cartellone del Teneramente del Vittoriale di Gardone Riviera lo scorso 20 luglio. I cinque di New York sanno come attizzare il pubblico dal primo momento, regalando una scaletta di chicche fatte su misura per ovations continue. Superata al cautissima Sleep che ancora gli spettatori alle sedie, l’invito di Wesley Keith Schultz di alzarsi e farsi prossimi al palco non cade nel vuoto. Ed è pur vero che stare fermi e composti mentre Jeremiah Caleb Fraites infuoca i tamburi e Stelth Ulvang sperona le assi del palco passando da Flowers a Ho Hey come se nulla fosse, è alquanto difficile. Non ci vuole molto perché lo “sweetheart” del pubblico esploda completamente e che la verve così corposa dei Lumineers non sdogani battimani da sgretolamento delle palmi, bussate di calcagni e baci infuocati diffusi più o meno fra tutte le file. Non cala la tensione nemmeno quando la palla della recitazione passa alla gentile Neyla Pekarek, eterea interprete di Dylan, o quando il belloccio dal crine biondo, Keith Schultz, si lancia nell’attraversamento della platea fra il visibilio e l’incredulità del pubblico più distante dal palco improvvisamente graziato da un’inaspettata vicinanza coi vip. Un inno alla gioia di un’ora e mezza, un concerto denso e ininterrotto senza cali di tensione e che prosegue marcato a righello fino a chiusura. Nessun encore, nessuna pausa tattica a reclamare i benefici del pubblico. La quadratura di chiosa (Long Way From Home, Scotland, In The Light, Stubborn Love) giunge senza preamboli, come la giusta e naturale prosecuzione di un concerto dall’intensità inaspettata e che porta i Lumineers a guadagnarsi un posto fra i migliori perfomer dei tempi recenti.