Difficile stare dietro alla prolificità di Ty Segall, astro nascente – anzi, ormai affermato – del nuovo garage americano, compagno di “scena” (quella di San Francisco) dei vari John Dwyer con i suoi Oh Sees, Fresh & Onlys, Mikal Cronin. Il giovane californiano ci aveva lasciato appena lo scorso anno con ben tre uscite (tutte puntualmente recensite qui su Indie-Eye): l’album solista Twins, quello pubblicato insieme a White Fence (Hair) e poi Slaughterhouse a nome Ty Segall Band, che dei tre era il più duro, distorto ed heavy. Forse per deviare un po’ da tale deriva carica di fuzz, forse perché l’ultimo periodo è stato pieno di vicissitudini personali che hanno segnato pesantemente il privato dell’artista (la morte del padre adottivo, la brusca separazione dalla madre), il nuovo Sleeper produce uno scarto piuttosto repentino rispetto all’ultimo lavoro; si tratta infatti di un album prettamente acustico, caratterizzato da un’anima profondamente folk, carico di umori Sixties e melodie intimiste, vicino stilisticamente a quella che è forse l’opera più riuscita di Segall, Goodbye Bread.
La sensazione avuta dopo l’ascolto di Sleeper è quella che il talento da songwriter di Segall si esplichi in maniera più efficace nel momento in cui i volumi della musica si abbassano ed i feedback e le saturazioni prodotte dalle distorsioni grezze delle chitarre progressivamente si dipanano. Insomma, quando il garage del californiano è violento e carico come in Slaughterhouse, si tende a finire un po’ troppo in confusione e ad uniformare eccessivamente il sound; quando invece, come in questo caso, le melodie riescono a prendere il sopravvento, ci sembra che il risultato finale ne guadagni. Sleeper paga il dovuto dazio agli eroi di gioventù di Segall; in primis al Neil Young del primo album da solista, poi allo psych folk della West Coast, a Nick Drake, in parte anche al Kurt Cobain più gentile ed acustico. Detto questo, i brani reggono eccome: la title track abbraccia una melodia circolare e malinconica che fa centro al primo ascolto, The Man Man è un blues garage che nella coda si fa graffiare da un’elettrica, She Don’t Care è sognante e beatlesiana, Come Outside è ossessiva e percussiva. The West chiude la raccolta con un country stilisticamente piuttosto convenzionale, il quale non fa che ribadire come le intenzioni di Ty Segall non siano di innovare, ma piuttosto quelle di reinterpretare la musica americana in modo credibile.