“My face is the front of shop/ My face is the real shop front/ My shop is the face I front/ I’m real when I shop my face,”
Sophie, producer e musicista elettronica, ha fatto del ritaglio il suo elemento amniotico. Un “trauma” diverso rispetto agli artisti che ancora si muovevano in territorio organico. Completamente immersa nella cultura digitale ha manipolato la sua immagine pubblica con gli stessi metodi con cui ha affrontato la sua musica e quella degli altri (Madonna e Rihanna, giusto per citare due nomi a caso), elaborando una personalissima strategia pop, tanto artefatta quanto selvaggia e viscerale. Le stesse trasformazioni a cui sottopone il contributo della voce, denunciano un approccio comunque corporeo all’arte digitale, una dimensione che esplode in modo ancora più netto in questo recente Faceshopping, dove il processo di manipolazione dell’immagine digitale non perde quasi mai di vista il corpo, come filtro percettivo principale.
Carne e chirurgia estetica, plastica e chirurgia digitale, è un ambiente di tipo artefatto e impersonale, ma che potenzialmente può interagire con un elemento improvvisamente extracorporeo.
Il contrasto tra simulacro e autenticità sembra incorporare la flagrante contraddizione che ci trova, tutti quanti, al centro di un controllo spasmodico della propria immagine, dove la realtà identitaria è sottoposta ad un’inesorabile frammentazione dal bombardamento transmediale a cui siamo sottoposti ogni giorno. Ecco che il controllo su questi frammenti, sembra dirci Sophie, è un ultimo disperato tentativo di riappropriazione di queste schegge impazzite, dove possiamo finalmente ricostruire una nuova identità, probabilmente più autentica dei mille simulacri indossati nello spazio reale.
Se i suoni, nel mondo creativo di Sophie, provengono dall’elaborazione di rumori generati nel mondo reale degli oggetti, samples sottoposti dalla producer ad un’ulteriore trasformazione, la stessa arte del glitch e del difetto contamina il video di Faceshopping, dove le numerose prassi del digital imaging diventano un gesto selvaggio e quasi improvvisativo.
Non è secondario l’effetto su chi vede. Una sinestesia subliminale ai limiti dell’intollerabilità rende assolutamente impermanenti le immagini, sospese in una zona grigia tra occhio e conservazione mnestica del frammento.
Disturba e cattura, Sophie, rigetta e comprende e forse ci racconta cosa siamo diventati.