Il 25 febbraio scorso George Harrison avrebbe compiuto 75 anni.
Per festeggiarlo il canale VEVO ufficiale dei The Beatles ha tirato fuori la clip di Blue Jay Way, estratto contenuto nel film televisivo del 1967 “Magical Mistery Tour“, programmato per la prima volta dalla BBC il 26 dicembre del 1967 e primo progetto della band realizzato poco dopo la morte del loro manager, Brian Epstein.
Nell’agosto dello stesso anno Harrison atterra a Los Angeles per dare una mano al suo amico e insegnante di sitar, Ravi Shankar, nell’allestimento della Kinnara School of Music. Proprio nella città degli angeli comporrà il brano con l’ausilio di un organo Hammond, all’interno della casa-studio di 4.000 metri quadri in Blue Jay way 1567, una delle “bird streets” che guardano verso il Sunset Strip. La casa, con pareti fatte di vetro, una sala cinematografica privata, un teatro, una spa, una piscina esterna e altri lussi, accolse probabilmente anche Paul Simon durante l’ideazione di “Bridge Over Troubled Water”.
Nel percorso artistico e umano di Harrison, “Blue Jay Way”, insieme ad “It’s all too much”, rappresenta in qualche modo il suo addio al “temuto dietilammide-25 dell’acido lisergico” in favore della meditazione trascendentale, praticata dietro la guida dello Yogi Maharishi Mahesh.
Seduto a gambe incrociate, Harrison suona una tastiera disegnata per terra con alcuni gessetti colorati. Il processo di acquisizione della filosofia Hindu è in pieno sviluppo dopo alcuni inserti musicali che contaminano la sua scrittura, a partire dalla metà dei sessanta. Il sitar in “Norwegian Wood”, i brani “Love you to” e la bellissima “Within you Without you”, oltre a “the Inner light” ed infine la colonna sonora stumentale “Wonderwall Music”, successiva a “Blue Jay Way” e scritta da Harrison per il film di Joe Massot.
Attraverso la struttura dei raga classici della musica indiana, Harrison cattura lo spirito orientale sostituendo la strumentazione tradizionale con l’Hammond, un violoncello suonato da Peter Willison e la batteria. A questo si aggiunge un lavoro enorme in studio tra eco a nastro, reverse recordings, registrazioni a velocità variabile, oltre alla tecnica di registrazione analogica nota come ADT e inventata pochi anni prima da Ken Townsend, un tecnico del suono degli Abbey Road Studios.
La versione che sarà utilizzata nel film “Magical Mistery tour” è il primo missaggio mono della traccia, che precede di poco quello ufficiale curato da John Lennon.
L’idea per il film viene a Paul MacCartney, ispirato dai viaggi in furgone dei Merry Pranksters, il movimento californiano costituito da amici dello scrittore Ken Kesey e al centro delle controculture di quegli anni. Le gesta dei Pranksters, saranno raccontate un anno dopo e nel dettaglio da Tom Wolfe, nel suo libro reportage intitolato “The Electric Kool-Aid Acid Test“.
L’estratto, diffuso nuovamente come un videoclip, proviene in realtà da una vera e propria “long form” dove il collante del viaggio che costituiva la struttura completa del film televisivo, serviva ad isolare alcuni brani in una dimensione narrativa e visuale del tutto autonoma, come accadrà pochi mesi dopo per lo speciale “Movin’ with Nancy” prodotto dalla NBC per Nancy Sinatra.
Una piccola tenda si apre davanti agli ospiti del Bus itinerante, rivelando uno spazio espanso che rappresenta lo stato aumentato della coscienza. Il muso di un gatto viene proiettato sul volto di Harrison, mentre la scritta “Magical Mystical Boy” compare sul torso di un uomo, che scopriremo essere Mal Evans, roadie dei Beatles. Da questo momento in poi “Blue Jay Way” diventa una continua esfoliazione di uno schermo dentro l’altro, metavisione in abisso che, illusione dopo illusione, svela le caratteristiche di una macchina del senso a metà tra alterazione e coscienza.
Questa espansione della mente viene ricreata attraverso l’utilizzo di retroproiezioni, sovrimpressioni, maschere e immagini complementari, tutto all’interno di un piccolo teatro che sembra produrre questo stesso immaginario.
Che si tratti di un movimento totalmente mnestico è confermato dalla posizione di Ringo Starr e da quella di Lennon. Il primo proietta alcune immagini tenendo in mano un proiettore, il secondo gioca con l’infanzia dominando il cavallo a dondolo di Zak, il figlio di due anni dello stesso Ringo. Fotografia prismatica e prassi del cinema underground, oltre a recuperare la semantica Beatlesiana ideata per i loro promo e ancora prima dallo sguardo “free” di Richard Lester, citano in forma lievemente parodica L’Exploding Plastic Inevitable di Wharol, che aveva debuttato due anni prima proprio a Los Angeles, al Trip di Elmer Valentine.
A curare la fotografia e a co-dirigere insieme agli stessi Beatles c’è un veterano come Bernard Knowles. Direttore della fotografia britannico affermatosi intorno agli anni trenta, collaborò con Hitchcock nella prima fase della sua carriera, per poi trasferirsi a Hollywood e dirigere un buon numero di film tra noir, dramma e commedia.
Dai primi anni cinquanta in poi la televisione caratterizzerà una terza rinascita per Knowles, a cui saranno affidati show come Target, Ivanhoe, The Buccaneers , Robin Hood.
“Magical Mistery tour” e “Blue Jay Way” li dobbiamo anche a lui.