Gli Ok Go esistono grazie ai loro video; basati interamente sulla ripetibilità, sul meccanismo causa-effetto, sulla trovata che prende il posto dello sguardo, sono “oggetti” che in qualche modo hanno definito quei confini creativi entro i quali si delineano le campagne di marketing virale. L’ultimo della serie, non troppo diversamente da altri del combo statunitense, ma forse in modo più accentuato, è un gioco metalinguistico che documenta il funzionamento del congegno, dove il set stesso diventa il centro di un continuo gioco di prestigio basato sul disvelamento progressivo di una serie di illusioni ottiche e prospettiche. Macchine celibi massificate che allo sberleffo surrealista sostituiscono una disimpegnata e gioiosa apologia della masturbazione.